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Ambiente

Il carbone della Spezia

La centrale Enel è ancora in attesa dell’Autorizzazione integrata ambientale. Il procedimento è avviato da 5 anni e mezzo

Tratto da Altreconomia 142 — Ottobre 2012

"Viviamo a Pagliari dal 2006. Sembrava un posto tranquillo, con un po’ di verde”. La signora Liana abita all’ultimo di tre piani e dal suo balcone si vede l’arco delle colline, il golfo e -sullo sfondo- il nuovo porto Mirabello. Verso il mare aperto ci sono il sito Unesco di Portovenere e delle Cinque terre, dall’altro lato colline. La vista è interrotta solo dai capannoni dei cantieri navali e dalle gru del porto commerciale, che sono in primo piano. “Il porto non mi era sembrato un problema -aggiunge Liana-, ma non immaginavo che avrei dovuto respirare la polvere nera del carbone che scaricano dalle navi”.
La signora Rita abita dal 1992 in una delle case a fianco. Proprio nel 2006, racconta, era stata rinnovata l’ordinanza sanitaria che dal 1999 “limita l’uso di ortaggi, frutti e animali allevati e macellati” in quest’area. La limitazione interessa un’ampia zona ricca di discariche, oltre al Sito di interesse nazionale (Sin) di Pitelli, meglio nota come la “collina dei veleni”: qui sono stati smaltiti illegalmente rifiuti tossici dagli anni 70 ai 90.
Questa è una fotografia della Spezia. E Pagliari e Fossamastra sono quartieri di periferia, nel levante cittadino. Si snodano alle spalle del porto commerciale, e tra le cataste di container e il pontile di scarico del carbone ci sono una scuola dell’infanzia, abitazioni e negozi. Alle spalle dei due quartieri, c’è anche la centrale termoelettrica di proprietà dell’Enel. Che oggi è alimentata a carbone. La centrale della Spezia era stata inaugurata dal presidente della Repubblica Antonio Segni nel 1962 e funzionava a olio combustibile. Negli anni Settanta passò al carbone. Un referendum cittadino nei primi anni 90 sancì la volontà degli abitanti di chiudere la centrale entro il 2005, producendo almeno il 50% dell’energia con il metano. A conferma delle preoccupazioni dei cittadini, in un convegno internazionale del 1995 l’Ordine nazionale dei biologi presentò i risultati di un monitoraggio dell’inquinamento atmosferico nell’area del Golfo della Spezia. Attraverso l’analisi dei muschi e dei licheni il monitoraggio dimostrava “un progressivo miglioramento della qualità dell’aria dal 1989 al 1994, in conseguenza della diminuzione di SO2 (anidride solforosa) dovute all’uso più esteso del metano come combustibile per il riscaldamento e alla sospensione dell’attività della centrale termoelettrica della Spezia dal settembre 1991 al maggio 1994”. In accordo con l’esito referendario, la centrale riaprì nei primi anni 2000 con due nuovi gruppi a metano e uno -teoricamente residuo- a carbone. Da allora, però, i gruppi a metano hanno lavorato pochissimo, e il 90% dell’energia è prodotto con il gruppo a carbone rimasto. Ecco perché la popolazione è tornata a occuparsi della centrale. Nel luglio del 2011 sembrava in dirittura d’arrivo il rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), e le associazioni ambientaliste organizzarono un convegno. Solo in quel momento molti spezzini presero coscienza di avere ancora una centrale a carbone in città. L’Autorizzazione integrata ambientale è un provvedimento normato dal dl 59/2005, quello con cui lo Stato ha recepito la direttiva europea 96/61/CE. La direttiva, insieme alla successiva 2008/1/CE (IPCC), è finalizzata alla “prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento e all’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri” per “conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso”. L’Aia è istruita dalla Commissione IPPC presso il ministero dell’Ambiente e rilasciata dal ministro. I procedimenti dovrebbero chiudersi in 120, massimo 180 giorni, salvo sospensioni per richieste d’integrazione. Quando applicata, l’Aia impone per gli impianti industriali prescrizioni ambientali stringenti, che le industrie italiane interessate avrebbero dovuto rispettare già dal 30 ottobre 2007. In Italia, in realtà, le prime Aia sono state rilasciate solo nel 2009, con due anni di ritardo rispetto al termine perentorio fissato dall’Ue. I 23 impianti tuttora in attesa di autorizzazione non sono dunque stati adeguati con le Migliori tecnologie disponibili (Mtd) al fine di prevenire l’inquinamento, come prevede la norma, e hanno rispettato limiti di emissioni più alti. Le aziende proprietarie hanno conseguito un indebito vantaggio economico, e inquinato di più, rispetto a quelle operanti negli Stati membri che hanno applicato per tempo la direttiva.
La centrale della Spezia, di proprietà di Enel, azienda controllata per il 31% dal ministero dell’Economia, è uno di questi 23 casi. Ma è in regola con la legge. Chi non è in regola è lo Stato (suo azionista). L’ha sancito la Corte di giustizia europea dopo un ricorso presentato nel giugno 2010 dalla Commissione europea, che già nel marzo 2008 aveva avviato un procedimento per inadempimento dell’Italia.
Nel ricorso, con riferimento al rilascio delle Aia, si rilevava che in Italia “ancora nel 2009 le autorità competenti non erano neppure in possesso di tutte le informazioni relative al numero di impianti in parola presenti sul territorio nazionale e alle loro attività”. Nella sentenza, del marzo 2011, la Corte ha stabilito che l’Italia non ha rispettato la direttiva, “non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino”. Secondo gli ambientalisti spezzini, il rilascio dell’Aia è l’occasione per chiedere la sostituzione del carbone con il metano. Perché la normativa lo prevede, perché Enel rimedierebbe parzialmente a un impegno mai onorato, perché il sindaco manterrebbe un impegno del 2007. Infine, l’uso del metano eliminerebbe gli inquinanti più nocivi per la salute. Nelle osservazioni inviate al ministero, il comitato SpeziaViaDalCarbone (speziapolis.blogspot.it) cita numerosi studi epidemiologici, effettuati durante tutti gli anni 90, che testimoniano tassi di mortalità per cancro al polmone più elevati nella provincia spezzina rispetto alle grandi città industriali. Nel corso di un’audizione del novembre 2011, i dati presentati dall’Asl evidenziavano “tassi di ricovero ospedaliero per malattie polmonari costantemente superiori alle medie ligure e nazionale in entrambi i sessi”. La Provincia della Spezia non ha un registro tumori e non esistono indagini epidemiologiche recenti. È per questo che il sindaco, in applicazione del principio di precauzione, dovrebbe esprimere un parere sanitario negativo se l’Aia dovesse mantenere il carbone come combustibile. Ma il direttore della centrale spezzina ha dichiarato che rinunciare al carbone a La Spezia “non rientra tra i piani di Enel”. Contro la richiesta di dismissione del gruppo a carbone l’impresa agita lo spauracchio dei licenziamenti, e fa intravedere la possibilità di chiudere, lasciando senza lavoro i 220 dipendenti. L’amministrazione comunale non vuole correre questo rischio e sostiene di non poter mettere in discussione l’uso del carbone in questa fase, impegnandosi a chiedere e ottenere limiti di emissioni più bassi di quelli previsti per i vecchi impianti come quello della Spezia. Secondo il sindaco, infine, non può essere dimostrata la relazione causa effetto tra l’inquinamento della centrale e la situazione sanitaria. Il comitato di cittadini intanto ha raccolto testimonianze, video e documenti che provano l’obsolescenza dell’impianto, la scarsa manutenzione, l’eccessiva rumorosità, le ripetute emissioni di fumi “anomali” e la dispersione delle polveri di carbone. Il comitato ha puntato il dito anche sulle autorità preposte ai controlli che si sono infine attivate, dopo l’invio di esposti alle autorità locali e a quelle giudiziarie. In ultimo, a luglio 2012, è stata presentata una memoria giurata alla Procura della Repubblica, che in precedenza aveva aperto un fascicolo per “getto di cose pericolose”. L’avvocato Massimo Lombardi, estensore della memoria, è fiducioso che “il sostituto procuratore accoglierà positivamente le nostre richieste, facendo avanzare il procedimento penale, approfondendo le indagini con perizie tecniche, anche epidemiologiche, volte ad accertare l’evidente responsabilità penale dei soggetti coinvolti e i danni alla salute, provocati sia ai lavoratori che ai cittadini residenti nel nostro territorio”. —

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