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Diritti / Varie

Ecco perché l’accordo Ue-Turchia rischia di essere illegittimo

Tra il 17 e il 18 marzo, il Consiglio europeo e la Turchia hanno condiviso nuovi "punti d’azione" per "ristabilire l’ordine pubblico" in materia di immigrazione. Le associazioni del Tavolo Nazionale Asilo hanno evidenziato punto per punto le "violazioni" dell’intesa. Per Alessandra Lang, docente di Diritto dell’Unione europea alla Statale di Milano, si tratta della "delocalizzazione del ‘peso migratorio’ in Turchia, in maniera per certi versi maldestra"

L’accordo raggiunto tra il Consiglio europeo e la Turchia tra il 17 e il 18 marzo scorso rischia di essere illegittimo. A giudicarlo testualmente “illegale”, attraverso un documento diffuso a pochi giorni dalla pubblicazione del comunicato stampa congiunto del Consiglio e di Ankara, sono state diverse realtà appartenenti al Tavolo Nazionale Asilo (Arci, Asgi, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Centro Astalli, FOCUS – Casa dei Diritti Sociali, Medici per i Diritti Umani, Consiglio Italiano per i rifugiati, SenzaConfine).
 
Sono nove i punti chiave di quella che l’Ue ha definito in un passaggio una misura "temporanea e straordinaria", "necessaria per porre fine alle sofferenze umane e ristabilire l’ordine pubblico”. I primi due, i più estesi e dettagliati, riguardano da un lato le operazioni di rimpatrio dei "migranti irregolari" -che saranno a carico dell’Ue- dalla Grecia alla Turchia, dall’altro una sorta di scambio tra Ue e Turchia di non più di 72mila profughi siriani (18.000 posti già destinati al reinsediamento e altri 54.000 al massimo, dietro accordo volontario). Formalmente, il passaggio recita così: "Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’UE tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite". Soglia, come detto, ferma a 72mila. Al sesto punto, invece, è prevista l’accelerazione dell’erogazione di 3 miliardi di euro dall’Ue in favore della Turchia che "garantirà il finanziamento di ulteriori progetti per le persone oggetto di protezione temporanea identificati con un tempestivo contributo della Turchia prima della fine di marzo" e l’impegno -vincolato al raggiungimento degli obiettivi- di ulteriori 3 miliardi da qui alla fine del 2018.
 
La prima delle “numerose violazioni registrate” riguarderebbe proprio il respingimento forzato verso la Turchia dei richiedenti asilo giunti in Grecia. 
 
Stando alle regole concordate, infatti, per quei migranti la cui domanda di protezione internazionale fosse stata dichiarata “inammissibile” dalle autorità greche, in cooperazione con l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Uniti (UNHCR), non spetterebbe altro che un “respingimento collettivo” verso la Turchia. Una violazione palese secondo le associazioni del Tavolo della cosiddetta “direttiva procedure” (2013/32/UE), che impone invece esami individuali delle richieste ed eventuali “riammissioni” in “Paesi di primo asilo” o “Paesi terzi sicuri”.
 
Del resto, la Turchia non potrebbe “in alcun modo” esser considerata un Paese terzo, di primo asilo o garante dei diritti umani, tenuto conto del fatto che non sarebbe in grado nemmeno di offrire la possibilità di “ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra” (relativa allo status di rifugiati, del 1951, ndr). Il patto con Ankara, quindi, avvallerebbe un’autentica “deportazione forzata”, dando il la ad un “meccanismo di assolutamente sommaria valutazione delle domande di asilo (in Grecia, ndr), che condurrà a una rapida dichiarazione di inammissibilità”.
 
Ciò che desta attenzione, al di là del merito, è anche la natura giuridica dell’accordo. Gli artefici dell’intesa l’hanno presentato infatti come un elenco di “punti d’azione supplementari” ad un piano comune Ue-Turchia “attivato” il 29 novembre 2015. Per Alessandra Lang, professoressa di Diritto dell’Unione europea all’Università Statale di Milano, il testo si potrebbe definire per questo un “accordo internazionale in forma semplificata che definisce una serie di obiettivi che le parti si impegnano a seguire imponendo l’adozione di ulteriori provvedimenti”. Peraltro -come fa notare Lang- nel testo “non vi è alcun riferimento al vaglio o alla ratifica da parte dei Parlamenti nazionali”. Si tratterebbe dunque di un’intesa programmatica, dove per Lang “le parti si sono impegnate da una parte a realizzare quanto convenuto nel quadro del diritto esistente, dall’altra a promuovere o adottare ulteriori norme, probabilmente coinvolgendo solamente in quel caso i Parlamenti, nazionali ed europeo”.
 
Un altro punto contestato dalle associazioni nel merito dei “punti d’azione” è la prevista possibilità di respingimenti forzati verso la Turchia di quei migranti approdati in Grecia dopo aver attraversato il territorio turco e che non abbiano presentato la domanda di asilo. Anche in questo caso, la scelta dell’Unione europea sarebbe quella di un “respingimento collettivo, operato in massa”, che secondo gli appartenenti al Tavolo Nazionale Asilo “viola apertamente il divieto di respingimenti collettivi sancito dall’art. 4 del protocollo IV addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.
 
Sul punto la professoressa Lang è più prudente. “Le associazioni fanno bene ad evidenziare i rischi di quella che di fatto è una delocalizzazione del ‘peso migratorio’ in Turchia, in maniera per certi versi maldestra, ma va riconosciuto che, almeno formalmente, è stato assicurato dai contraenti dell’accordo il rispetto delle regole generali”. 
 
Ad ogni modo, la pretesa dell’Europa di poter anche solo lontanamente concepire l’accoglienza di 72mila persone si scontra con i numeri dello stesso UNHCR (che con Medici senza frontiere ha lasciato il campo d’accoglienza di Lesbo, definito “una mini Guantanamo nel territorio europeo” e che la nota delle associazioni invita ad astenersi dalle procedure di valutazione delle domande). Rispetto agli arrivi via mare del 2015 -poco più di 1 milione di persone-, il 2016 ha già registrato l’approdo di 161.900 individui, per il 35% dei casi bambini, in crescita del 1.000% sullo scorso anno.
 
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