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Acqua ai privati, stop europeo – Ae 49

Numero 49, aprile 2004Il Parlamento di Strasburgo vota contro la privatizzazione. Un risultato frutto di migliaia di mail (e delle elezioni alle porte). Storia di un pressing firmato Petrella-Mitterand-Zanotelli “È la prima volta che questo Parlamento europeo vota contro la…

Tratto da Altreconomia 49 — Aprile 2004

Numero 49, aprile 2004

Il Parlamento di Strasburgo vota contro la privatizzazione. Un risultato frutto di migliaia di mail (e delle elezioni alle porte). Storia di un pressing firmato Petrella-Mitterand-Zanotelli

“È
la prima volta che questo Parlamento europeo vota contro la privatizzazione dell'acqua. Merito delle vicine elezioni. Ma anche del pressing continuo per il diritto all'acqua da parte della società civile. Una grande vittoria, sulla quale lavorare e vigilare”. Riccardo Petrella, presidente del Comitato italiano per il Contratto mondiale sull'acqua, è soddisfatto: l'11 marzo scorso il Parlamento europeo, in una mozione d'indirizzo sulle priorità del mercato interno, ha riconosciuto l'acqua come bene comune dell'umanità. Un'audizione del Comitato a Strasburgo, migliaia di email in poche ore ai capigruppo, e una lettera aperta a tutti i parlamentari, con la promessa di rendere pubblici nomi e voti di ciascuno. Funziona: con 201 a favore e 116 contrari viene persino cassato l'articolo 10 della mozione nel quale si accoglievano con favore “le proposte di continuare la liberalizzazione e l'apertura dei mercati nel settore dell'acqua”. Persino il relatore, il laburista inglese Bill Miller, annuncia voto contrario al testo che porta il suo nome. Se la società civile e i movimenti “hanno la capacità di inserirsi negli spazi di democrazia e di partecipazione che esistono all'interno delle istituzioni con precise proposte politiche -conferma Rosario Lembo, segretario del Comitato per il Contratto sull'acqua- è possibile condizionare la politica, anche quella espressa dagli interessi forti delle multinazionali”.

L'8 maggio 2003 la Commissione europea guidata da Romano Prodi trasmette al Parlamento la sua comunicazione numero 2003/238 “Strategia per il mercato interno, Priorità 2003-2006”, un documento di indirizzo il cui esame viene affidato alle commissioni competenti. Il 4 settembre il Presidente del Parlamento comunica che la Commissione parlamentare per i problemi economici sarebbe stata capofila nell'esame del testo e il deputato Bill Miller viene nominato relatore. Il 19 febbraio scorso la Commissione per i problemi economici, con 16 voti favorevoli, 10 contrari e 1 astensione, licenzia la mozione nata dal rapporto Miller e la affida al Parlamento.

“Non aveva valore di legge -spiega Petrella- visto che una mozione non è una direttiva, cioè una vera legge europea. Eppure introduceva precedenti pericolosi”. Per esempio l'articolo 8, in cui il Parlamento accoglie “molto favorevolmente l'ambiziosa proposta della Commissione di creare un mercato interno dei servizi”, e invita gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli transfrontalieri al commercio dei servizi “prima dell'approvazione formale della direttiva nel prossimo Parlamento”. Ma anche l'articolo 10, che auspica la privatizzazione dei servizi idrici perché “l'apertura del mercato alle industrie di rete ha fornito importanti vantaggi ai consumatori e alle imprese”.

Un'affermazione parzialmente corretta dall'articolo 30 in cui il Parlamento invita la Commissione europea a esaminare meglio costi e benefici del partenariato pubblico-privato (Ppp), la formula che fonde in società per azioni enti locali e imprese private nella gestione dei servizi. Il Parlamento chiede di valutarne l'impatto “sulla responsabilità democratica delle autorità pubbliche per la fornitura di servizi pubblici, nonché a valutare le conseguenze sociali per lavoratori e utenti”. !!pagebreak!!

Il gruppo della sinistra europea annuncia voto contrario, ma i popolari si dichiarano favorevoli e i movimenti si attivano. Riccardo Petrella, la vedova dell'ex premier francese Danielle Mitterrand e il missionario comboniano Alex Zanotelli il 9 marzo parlano a Strasburgo, davanti a più di 60 parlamentari.

“Questa mozione è un rischio mondiale -chiarisce Petrella- visto che in Unione europea nascono nove delle prime dieci multinazionali dell'acqua che, come Danone in Cina, operano in alcuni Paesi in regime di monopolio. O come le francesi Vivendi e Suez, che controllano il mercato dell'acqua in 150 Paesi e la erogano a 250 milioni di persone. Ne uscirebbero troppo rafforzate”. Zanotelli si concentra sul ruolo dell'Unione nelle trattative dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto): “La Commissione europea ha chiesto la privatizzazione dei servizi idrici in 72 Paesi, 30 sono i più poveri del mondo. Chiedendo all'Africa, continente crocifisso, di pagare per la sua acqua, questo Parlamento si assume la responsabilità di un genocidio, con milioni di morte di sete”.

Le reazioni all'audizione sembrano tiepide, mentre migliaia di e-mail cominciano a intasare la posta elettronica dei capigruppo chiedendo che l'acqua venga riconosciuta come diritto umano.

Dopo qualche ora, la svolta: “L'idea ci è venuta in macchina, quasi sull'aereo che ci riportava in Italia”, rivela Lembo. Il 10 marzo tutti i parlamentari, grazie a una mano “interna” solidale, trovano nella casella postale di Strasburgo una lettera firmata da Petrella, Mitterand e Zanotelli. Il messaggio è diretto: “Gentile onorevole, Ti chiediamo di esprimere un voto che tenga conto dell'interesse generale delle popolazioni del Nord e del Sud del mondo”. Si punta sul fatto che su alcuni emendamenti ci si esprimerà con voto nominale: “Fra pochi mesi -avvertono gli autori della lettera- saremo chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento europeo. Il tuo voto, così come quello espresso dal tuo gruppo sul diritto all'acqua, saranno decisivi nell'orientare il voto di tutti quelli che da sempre sono impegnati su questo tema”.

Il risultato arriva: nella versione definitiva della mozione, all'articolo 3 il Parlamento “respinge i tentativi di fare disciplinare le acque e i servizi di smaltimento e dei rifiuti da una direttiva settoriale del mercato unico; ritiene che non si dovrebbe realizzare la liberalizzazione dell'approvvigionamento idrico in vista delle responsabilità a livello locale in materia di acque potabili”. L'articolo 5 sancisce che “essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non debba essere assoggettata alle norme del mercato interno”.

Rimane, all'articolo 33, il richiamo alla Commissione perché valuti l'impatto delle società pubblico-private sui diritti dei cittadini. La partita resta aperta.

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Mille sindaci per tornare padroni dell'acqua di tutti
Granaglione nel 2003 era rimasto l'unico, piccolo, Comune della provincia di Bologna a non aver accettato che -come previsto dalla legge Galli del 1994 e dalla Finanziaria del 2003- i servizi idrici pubblici dovessero essere gestiti non più dagli enti locali ma da società per azioni pubblico-private provinciali.

“Ci hanno commissariato -racconta Paolo Brunetti, presidente del comitato civico Salvacqua- rispolverando un istituto che dal fascismo in poi non era stato più usato contro un Consiglio comunale. Con il sindaco Giuseppe Nanni e la giunta abbiamo pensato di chiamare a raccolta tutti coloro che non volevano cedere le loro acque alle multinazionali”. Prima la petizione, poi un appello e-mail cui hanno risposto centinaia di sindaci, per far votare un ordine del giorno che permettesse ai piccoli Comuni di continuare a gestire l'acqua in modo autonomo. La legge Finanziaria 2004 ha stabilito che un Comune, se vuole, può mantenere la “gestione diretta” dell'acquedotto attraverso una società controllata al 100%, invendibile, e che deve operare pressoché esclusivamente per il proprio socio, cioè il Comune stesso.

A Bedonia (Parma), il 6 marzo scorso c'erano circa mille sindaci per costituire il primo comitato delle autonomie locali per l'acqua pubblica. In Piemonte è partita la prima spa totalmente pubblica tra 14 comuni. In Lombardia la Regione, sotto la minaccia di un referendum regionale promosso da 150 Comuni, ha stabilito che all'interno degli Ato, gli ambiti territoriali di gestione idrica, vale il principio “un Comune un voto”: “In questo modo -commenta Paolo Ceruti, sindaco di Magreglio (Co), tra i promotori della mobilitazione- potremo controllare gestioni e processi”.

Strasburgo “cassa” anche il ponte sullo Stretto
Il Ponte sullo Stretto non s'ha da fare. L'europarlamento, a marzo, ha bocciato la mega-opera voluta dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per dar lustro al proprio governo, ma da molti considerata di scarsa utilità pratica. La mossa di Strasburgo ha depennato il Ponte dalla lista dalle priorità da realizzare per la rete transeuropea dei trasporti (Ten): 231 voti favorevoli, 189 contrari e 17 astenuti. La decisione accoglie un emendamento voluto e supportato da deputati di partiti di sinistra, verdi e liberali, guidati in particolare da Monica Frassoni, co-presidente dei verdi europei, e dal Claudio Fava dei ds italiani. Una decisione di notevole peso perché alle opere prioritarie l'Unione europea concede un contributo pari al 10% del loro valore: nel caso dello stretto 600 milioni di euro sui 6 totali.

Andremo avanti, è stata la risposta del ministro delle Attività produttive antonio Marzano. “Il voto del Parlamento -ha detto- non incrina minimamente la decisione assunta dal governo”. E pochi giorni dopo è arrivata la conferma del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti che riunisce i diplomatici dei governi Ue, che ha deciso di non accettare modifiche sostanziali ai progetti delle opere infrastrutturali, posizione peraltro ribadita anche dalla Comissione europea, guidata da Romano Prodi, che una presentato una lista ufficiale che comprende anche il ponte, e dal commissario per i Trasporti Loyola de Palacio.

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