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Economia

Il trucco olandese di Ikea

Mentre riempie le nostre case di mobili tutti uguali,  il paesaggio di capannoni e le strade di ingorghi, la multinazionale non più svedese apre società nei paradisi fiscali per pagare meno tasse possibile. Ecco come

Tratto da Altreconomia 101 — Gennaio 2009

Di svedese, in un negozio Ikea, restano solo i nomi dei mobili e i “colori sociali”, il giallo e il blu del Paese scandinavo. Perché Ikea, credeteci, è in realtà una multinazionale olandese: la holding che controlla l’impero costruito sul mobile low cost, 21,2 miliardi di euro di fatturato nel 2007, si chiama Ingka Holding e ha sede a Leiden, in Olanda.
Eccolo, il trucco: la vera fortuna di Ikea, e del suo fondatore Ingvar Kamprad, non è l’idea di vendere i mobili smontati, obbligando i clienti a caricarseli sull’auto per portarli a casa.
Ma quella di aver costruito una struttura societaria assai complicata e praticamente inaccessibile, una ragnatela nata apposta per sfruttare meccanismi di “pianificazione fiscale” per pagare meno tasse possibile senza violare la legge. Ad esempio spostando le sede legale dei propri interessi in Olanda, dove il regime fiscale è agevolato.
È per questo che Altreconomia ha provato a ricostruire la struttura di Ikea –vedete il risultato nel pdf allegato-: un albero che parte dal nostro Paese, dove l’azienda è arrivata vent’anni fa, nel 1989, tocca la Svezia e approda oltreoceano in veri e propri paradisi fiscali. Leggete con attenzione: capirne la forma è più difficile che montare un mobile Ikea usando solo la brugola in dotazione nel kit. Sul ramo più alto, almeno formalmente, siede una coppia. C’è una fondazione no profit con sede in Olanda, che si chiama Stichting Ingka Foundation ed è stata creata nel 1982 da Kamprad, che ne dovrebbe essere ancora chairman. Non paga le tasse perché la legge olandese così prevede e controlla la capogruppo Ingka Holding.
Poi c’è una società registrata alle Antille olandesi, Inter Ikea Holding.
Lo ha rivelato, nel 2006, un’inchiesta dell’Economist, che ne ha calcolato anche gli utili (relativi all’anno fiscale 2004): la fondazione ha ricevuto almeno 1,6 miliardi di euro, tra il 1998 e il 2003, dalla controllata Ingka Holding; Inter Ikea System Bv, controllata da Inter Ikea Holding, è invece proprietaria del “concetto Ikea”, e per questo ogni anno riceve royalties, pari ad almeno il 3% del fatturato, dagli oltre 250 negozi Ikea in Italia e nel mondo. Sul trono di Ikea, in ogni caso, siede ancora Ingvar Kamprad, che vive in Svizzera ed è il settimo uomo più ricco del mondo nel 2008 secondo la rivista Usa Forbes, con una ricchezza personale accumulata di 31 miliardi di dollari.
Per seguire il filo rosso dei conti di Ikea, però, si deve partire dallo scontrino emesso in uno qualsiasi dei negozi in Italia. In alto c’è scritto il nome della società che lo ha emesso: si chiama Ikea Italia Retail, e ha sede a Carugate, in provincia di Milano, dove nel 1998 è stato aperto uno dei quindici negozi che la multinazionale gestisce in Italia.
È da lì che i nostri soldi iniziano il loro lungo viaggio. Perché “Retail” è solo una delle cinque diverse società italiane che si chiamano “Ikea”, quella che gestisce direttamente tutti i negozi aperti nella penisola (sono 15 ma il gruppo punta ad espandersi con 21 negozi nei prossimi 7 anni, soprattutto nell’Italia meridionale).
Retail fa capo a una holding italiana, Ikea Italia Holding, il cui socio unico è la holding olandese. Le altre società registrate nel nostro Paese sono, in ordine alfabetico, Ikea Italia Distribution, Ikea Italia Property e Ikea Trading Services Italy. È una struttura simile a quella di molte altre imprese nella grande distribuzione. Ikea, però, non è una società per azioni quotata in Borsa, e così ha pochi obblighi di trasparenza. L’unico dato “accessibile”, perché comunicato dall’azienda, è il fatturato di Retail, dei grandi magazzini: 1,334 miliardi di euro tra il settembre 2007 e la fine di agosto 2008, con un incremento del 5,8% sull’anno precedente, quando Ikea aveva dichiarato alla stampa un fatturato di 1,2 miliardi di euro. Ma è un dato che non aiuta a guardare tra le maglie di Ikea. Specie a partire da una prima, semplice considerazione: tra Retail, Distribuition e Property -tutte hanno sede a Carugate, come la Holding- ci sono fitti scambi di beni e servizi, che permettono di spostare voci di bilancio positive dall’Italia all’estero, per ridurre il carico fiscale nel nostro Paese.
Questi scambi interni valgono quasi 800 milioni di euro e si possono leggere nel bilancio delle tre società (relativo al 2007). La somma dei fatturati dà 2.354 milioni di euro, il 49,6% in più rispetto a quello di Ikea Italia Holding. Fino a tutto agosto 2007, ad esempio, Distribution si occupa non solo di logistica e trasporti ma anche di acquistare tutto ciò che viene venduto nei negozi da società estere (sempre controllate da Ikea); mobili, utensili e tessili che poi vengono rivenduti -con un ricarico- a Retail, che a sua volta li vende al dettaglio, a tutti noi che entriamo in un magazzino Ikea.
Ma c’è davvero bisogno di così tanti “giri” per portarsi a casa un divano? Contrariamente a quanto si possa pensare, poi, nel 2007 Distribution ha chiuso il bilancio in perdita, per 4 milioni di euro.  
Dal 1° settembre 2007, ci informa Ikea, questa struttura è mutata: Retail acquista direttamente dall’estero i mobili, da un’altra società controllata dalla capogruppo olandese Ikea Holding BV. Distribution, dal gigantesco polo di Piacenza, ben visibile di fianco all’autostrada A1 su una superficie di circa 200mila metri quadrati, si occupa esclusivamente dei servizi di trasporto e logistica.
I consulenti in pianificazione fiscale devono aver suggerito ad Ikea una nuova struttura, migliore per “ottimizzare” la pressione nel nostro Paese. D’altronde, ormai la lotta tra le imprese multinazionali non si fa sui prezzi ma sulle misure per ridurre le tasse: il “carico” medio per le multinazionali, secondo uno studio di Kpmg -una delle principali società di consulenza nell’ambito della pianificazione-
è sceso dal 38% nel 1993 al 26,9% nel 2007.      
Altri meccanismi contabili riguardano Ikea Italia Property, la società che ha per oggetto “la costruzione, l’acquisto, la vendita […], la locazione, l’affitto e l’amministrazione degli immobili di proprietà sociale”. “Property”, che ha un capitale sociale di 5 milioni di euro, 25 dipendenti e 73,5 milioni di euro di fatturato, ha debiti per 400 milioni di euro verso le società controllanti. Questo comporta un interesse, pagato alle stesse controllanti, per oltre 18 milioni di euro. Le operazioni non sono registrate nel bilancio consolidato della holding italiana, ma l’interesse abbatte “l’imponibile” nel nostro Paese, facendo tendere a zero il risultato prima delle imposte di Ikea Italia Property. Oltre 110 milioni di euro, in ogni caso, volano direttamente dall’Italia verso paradisi fiscali o Paesi a fiscalità vantaggiosa. I primi sono i 40,88 milioni di euro che Ikea Italia Retail, 1.283 milioni di euro di fatturato (il 14,5% più rispetto all’anno precedente), paga a Inter Ikea System: è il costo delle royalty per l’utilizzo del nome e del marchio Ikea. Inter Ikea System, che ha sede in Olanda (vedi mappa a pagina 9), è controllata da una società con sede nelle Antille olandesi. In questo modo Ikea azzera il carico fiscale, realizzando quello che viene definito il “sandwich olandese”, ovvero far transitare per l’Olanda -Paese legato alle Antille olandesi da una convenzione contro la doppia imposizione- i capitali destinati a un paradiso fiscale. Altri 70 milioni di euro, nel 2007, sono i dividendi distribuiti dall’assemblea dei soci, cioè da Ingka Holding, al socio unico, cioè a se stessa (nell’assemblea dei soci la holding olandese era rappresentata dall’avvocato Barbara Calza dello studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani).
Ikea Trading Services è l’unica società Ikea a non avere sede a Carugate, ma a Trezzano del Naviglio (Mi). Ha un capitale sociale di 10.320 euro e nel 2007 ha fatturato 7,4 milioni di euro. Si occupa delle relazioni tra il gruppo e i suoi fornitori italiani, “di fare scouting ai produttori che possano garantire il prezzo più basso rispettando gli standard Ikea”, spiegano dall’ufficio relazioni esterne per Ikea Retail. Secondo cui il comparto Trading risponde direttamente a Ikea of Sweden, la branca che cura design e collezioni che ha sede in Svezia. Una visura ci dà però indicazioni diverse: il 99% delle quote sono controllate da Ingka Pro Holding (Olanda) e un altro 1% da Ingka Holding Europe (Olanda), che è a sua volta controllata da Ingka Holding (Olanda), la holding che controlla tutto il gruppo Ikea. Quella che fa riferimento diretto alla fondazione no profit, da cui i soldi, in qualche modo, entrano nelle tasche di Ingvar Kamprad, uno degli uomini più ricchi del mondo.

La rete che porta a Ingvar
Ingvar Kamprad guida Ikea da quand’è nata, nel 1943, in Svezia.
La sua prima intuizione, quella di vendere mobili in serie, da montare, usa e getta, lo ha reso famoso in tutto il mondo. Ma quella che lo ha reso ricco -il 7° uomo più ricco del mondo nel 2008, ma in passato è stato anche il quarto- è l’aver dato alla sua creatura, a partire dagli anni Ottanta, uno “scudo” fiscale.
Dal 1982, infatti, tutto il gruppo Ikea è controllato da un ente no profit, la Stichting Ingka Foundation, che ha sede in Olanda e non paga tasse.  
Nel 1988, invece, Kamprad ha creato Ikano Group, che ha sede in Lussemburgo (paradiso fiscale) e si occupa di investimenti ma anche -per ora in 7 Paesi- di finanziamenti, leasing, credito al consumo, carte fedeltà.
Le società di questo gruppo gestiscono oltre 7 miliardi di euro. Nel 1989, Ikea arriva anche in Italia, ma la struttura attuale -quella delle tre controllata e di Ikea Italia Holding- è successiva. “Retail” è stata costituita nel luglio del 1995. “Distribution” durante il 1998. “Property” il 29 dicembre del 1999. La holding è stata iscritta al registro delle imprese di Milano nel 1996. Ha un capitale sociale di 7,8 milioni di euro, sottoscritto da un unico socio: Ingka Holding Bv, che ne è la proprietaria.
Dal 1991 del gruppo fa parte anche Swedwood: in un’ottica di integrazione verticale, Ikea ha col tempo acquisito il controllo di alcuni fornitori, specie nei Paesi dell’Europa dell’Est. Materialmente, i mobili sono prodotti all’interno del gruppo Ikea; nei fatti, però, sono costi esterni registrati in bilancio (ad esempio in quello di Ikea Distribution Italia che abbiamo letto).  L’altra grande intuizione di Kamprad è stata quella di “spostare” gli introiti economici derivanti dalle royalty dalla Svezia, dove si sviluppa il design dei prodotti Ikea, all’Olanda, creando Inter Ikea System Bv.
Il denaro, attraverso questo canale, arriva da tutto il mondo, attraverso l’Olanda, nelle Antille olandesi. Dove il cerchio si chiude, forse, portandolo nelle casseforti della famiglia Kamprad.

Chi lavora per ikea
1.580 aziende, in 53 Paesi, lavorano per riempire gli scaffali dei grandi magazzini Ikea. La lista completa dei fornitori è però top-secret.
L’unico nome “pubblico” è Swedwood, una controllata della stessa Ikea, nata nel 1991. Oggi Swedwood ha 49 fabbriche e segherie in 11 Paesi, dalla Svezia alla Germania ai Paesi dell’Est Europa. La maggior parte sono in Polonia, che di fatto, con il 17% (in valore), è il secondo fornitore dei beni venduti nei negozi Ikea dietro alla Cina (21%). Al terzo posto viene l’Italia, con l’8%. Ma tra i fornitori italiani (e gli ex) di Ikea nessuno ha voluto rispondere alle domande di Ae in merito alle condizioni contrattuali (dalle condizioni imposte da Ikea al nome della società con cui i fornitori italiani intrattenevano relazioni). Né Natuzzi (quelli di Divani&Divani), né Snaidero o Calligaris (che hanno chiuso il loro rapporto con la multinazionale), né Bormioli Rocco. Ikea ha sviluppato negli anni un codice di condotta
volontario in materia ambientale e di condizioni di lavoro. Un’inchiesta condotta nel corso del 2006 da Oxfam-Magasin Du Monde (Belgio) ha dimostrato però che in molti casi il codice non viene disapplicato, e che in ogni caso gli audit raramente sono esterni. Il libro è stato pubblicato in Italia da Anteprima, con il titolo Ikea. Che cosa nasconde il mito della casa che piace a tutti? (2007, 12 euro).

Un altro nome
L’unico ramo dell’albero Ikea che non ha ancora toccato l’Italia è Ikano Group, la società che attraverso Ikano Pte Ltd gestisce, in franchising, due grandi magazzini Ikea a Singapore e uno in Malaysia. Ma Ikano Group, che nel 2008 ha compiuto vent’anni, è molto altro: del gruppo fanno parte una società immobiliare, che insieme a Ikea costruisce e gestisce proprietà in Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca. Ikano dal 1992 è anche la proprietaria del marchio e dei negozi Habitat, prima una concorrente di Ikea, presenti in una quindicina di Paesi.
Le due società più importanti del gruppo sono però “Finance”, attiva in 7 Paesi (non in Italia, per il momento) nei settori carte fedeltà, carte di credito, leasing e prestiti personali, con un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro nel 2007, e Ikano Fund Management S.A. (con sede in Lussemburgo), un fondo d’investimento che gestisce un portafoglio di 4,6 miliardi di euro. Nata per una scissione in seno all’Ikea, Ikano Groups ha la sede principale in Lussemburgo, un paradiso fiscale, ed è di proprietà della famiglia Kamprad: nel consiglio d’amministrazione siedono Mathias, Jonas e Peter Kamprad, i tre figli di Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea, che è Senior Advisor per il board di Ikano.

In magazzino
  “Ieri abbiamo fatturato 500mila euro”. È il messaggio che sentiva, ogni mattina, Mario, che ha lavorato all’Ikea di Corsico, il più grande d’Italia, fino a un anno fa. Per motivare gli addetti del magazzino, prima dell’apertura del negozio, l’altoparlante sparava fatturato e numero dei visitatori.
Mario è entrato all’Ikea attraverso un’agenzia interinale, e dopo due contratti a tempo determinato (da tre mesi) al terzo rinnovo è rimasto a casa: Ikea voleva che accettasse un cambio di turno, che passasse a lavorare in quello notturno, dalle 10 di sera alle 6 del mattino. “Avevo un part-time da 16 ore, ma non so quant’era lo stipendio base, credo intorno ai 500 euro. Io ho sempre lavorato di più: facevo 40 ore di straordinario al mese, che è il massimo”. Lo straordinario, a Corsico, è routine: “Fanno una stima del personale di cui c’è bisogno in base alla superficie del negozio. Ma i metri quadrati non sono distribuiti sempre uguali: a Corsico, ad esempio, c’è una ribalta troppo piccola”. Manca lo spazio, cioè, per scaricare i camion. E il negozio non era mai pronto entro l’orario di apertura. Per questo ha preso a funzionare 24 ore su 24, per usare anche la notte per distribuire gli arrivi.

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