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Diritti

Pericolosi giochi di guerra

Disponibile anche da questo blog il dossier pubblicato con Mosaico di Pace

Mi fa piacere pubblicare anche dalle pagine del blog "I Signori delle guerre" il dossier curato per Mosaico di Pace con Chiara Bonaiuti di Oscar Ires Toscana.

Con questo lavoro abbiamo cercato di fornire nuovi strumenti di interpretazioni di un "gioco" antico quanto il mondo ma che negli ultimi anni ha sicuramente cambiato il proprio volto, diventando qualcosa di totalmente innovativo rispetto al passato. Tutti dovremmo quindi porci la questione di come si stia sviluppando la forma di conflitti e guerre nel nostro tempo, in particolare se facciamo parte di quel grande mondo che porta avanti istanze di pace e di nonviolenza. Speriamo, anche e soprattutto con il contributo dei nostri interlocutori (Lorenzo Striuli, il generale Fabio Mini, Paolo Busoni), di aver fatto un buon lavoro e aver proposto un primo tassello utile a questa discussione fondamentale.

Buona lettura (il dossier si può scaricare dal link a lato)

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Le mille facce del conflitto

Guerra. Il contrario di Pace. O meglio, una delle condizioni principali che impediscono un pieno raggiungimento della Pace, che è formata anche dalla piena compresenza di diversi elementi positivi (diritti, cittadinanza, sicurezza sociale e di sussistenza), non solo dall’assenza di conflitto violento e conclamato. eppure, pur condividendo questa prospettiva, crediamo sia importante per tutto il mondo che si rifà ad un ideale di Pace, cercando di costruirla concretamente, capire cosa siano le guerre oggi e come si sviluppino.
Non per nulla dal 2008 il numero dei conflitti ha ricominciato ad aumentare e si sta assistendo ad una progressiva frammentazione ed autoperpetuazione della violenza, che delle guerre è il brodo di coltura e principale alimento.  Il processo vede una continua diversificazione dei gruppi armati e una sorta di erosione dei confini tra diverse forme di violenza (ribellione, terrorismo, violenza settaria e dei clan) mentre anche nelle forme più strutturate di conflitto violento le conseguenze sempre più negative sulla vita dei civili mostrano la capacità di autoperpetuarsi anche in situazioni in cui sono cessati i combattimenti. A complicare il quadro interviene una evidente difficoltà politica nell’interpretare e gestire le strategie di intervento nella realtà dei nuovi conflitti, che presentano caratteristiche sempre più complesse e difficilmente catalogabili e interpretabili secondo gli strumenti tradizionali d’analisi: non ci sono più le guerre di una volta! E ciò, a parte la battuta, costituisce un problema reale e bruciante soprattutto per chi vuole depotenziare l’influenza della violenza sulle vicende delle società umane. Davvero il quadro di un conflitto, la sua natura, la collocazione degli attori e le sue cause reali e dichiarate risultano più confuse e più mobili rispetto alla guerra tradizionale. Anche la linea di demarcazione tra inizio e fine degli scontri armati e tra intervento militare e civile è meno chiara. Sia nel corso della guerra che nella fase successiva, inoltre, gli aspetti militari e di sicurezza si intrecciano con le problematiche civili della ricostruzione delle infrastrutture e dei sistemi educativi e sanitari, dell’institution building e degli aiuti allo  sviluppo. 
Mancano tuttavia ad oggi studi ed analisi che permettano di leggere la realtà attuale nella sua complessità, indagando sulle reali cause dei conflitti attuali, sulle strategie di intervento e sugli strumenti per prevenirli: mancano strumenti definitori, manca una visione complessiva che ci aiuti a definire una strategia di intervento proprio perché le categorie di interpretazione risultano ormai anacronistiche.
Di fronte ad una crescente complessità sembra prevalere una rinuncia della politica e della scienza, in termini di sforzo di comprensione e di interpretazione. Al contrario prevalgono forme di semplificazione che si rincorrono, con le medesime parole, nei media, nelle sedi internazionali dalla Nato all’Unione Europea, nei rapporti di istituti di ricerca e think tank. Una semplificazione pericolosa come tutte, ma ancora di più in un ambito così pervasivamente delicato ed esplosivo.

Data questa situazione, l’obiettivo di questo dossier è proprio quello di avviare una riflessione sull’evoluzione dei conflitti che miri a fare un po’ di chiarezza (in primis tra di noi): partendo dagli aspetti definitori e con l’intenzione di costruire nuove chiavi di lettura e categorie interpretative.  La "ratio" è quella di riaprire un dibattito che metta in comunicazione da un lato teorici e dall’altro operatori sul campo (o meglio sui campi, siano essi soldati o membri di organizzazioni internazionali o non governative) ed anche diverse prospettive di analisi. Le linee di studio presenti a livello universitario, sia per quanto riguarda le teorie delle relazioni internazionali che gli studi strategici e la conflittuologia applicata, risultano non sempre in contatto con una realtà in evoluzione; talvolta i lavori sono fortemente autoreferenziali ed anacronistici sia nelle teorie che nelle applicazioni, mentre chi vive direttamente queste realtà sul campo non ha tempo o strumenti per leggerla, interpretarla e rifletterla. Ne questi operatori di area di conflitto sono adeguatamente valorizzati come testimoni ma anche come creatori di senso per una realtà così complessa che ha bisogno di essere approfondita molto. 
In questo lavoro partiremo quindi da alcuni aspetti definitori: cos’è un conflitto oggi, quali le cause reali e dichiarate e gli obiettivi, quale il fine del conflitto, quando inizia e quando finisce, quali gli strumenti per risolverlo e prevenirlo. Si tratta ovviamente di un percorso di cui questo dossier costituisce solo il primo passo. Qui di seguito ecco alcuni spunti di riflessione:

1. Le minacce alla pace e i due paradossi  Per tutto il periodo bipolare, in seguito alla fine della seconda guerra mondiale, la legittima difesa, individuale o collettiva, era considerata come unica forma di uso della forza legittimo. Dopo il crollo del bipolarismo come minacce alla pace sono state considerate altre gamme di azioni: prima le violazioni dei diritti umani, poi il terrorismo internazionale e la proliferazione di armi di distruzione di massa, fino ad arrivare alle migrazioni, alla criminalità e ai disastri ambientali. Le sfide alla pace e alla sicurezza internazionale sono sempre più di carattere civile e di natura interconnesse, nelle risposte, con gli strumenti di controllo della proliferazione degli armamenti, il rafforzamento delle strutture statali e democratiche dello stato, il rafforzamento della politica e della diplomazia, della cooperazione e dello sviluppo. Lo spettro si è ampliato, la sicurezza ha assunto un’accezione sempre più multidimensionale, confluendo nel concetto più ampio di sicurezza umana  (sicurezza economica, del cibo, alla salute, ambientale etc..) che richiede ovviamente forme di risposta diverse da quella militare (e ce ne ha dato indicazioni il prof. Striuli).
Tuttavia, paradossalmente, la progressiva multidimensionalità del concetto di sicurezza non ha comportato una multidimensionalità degli strumenti per fronteggiare le minacce alla pace, ma una rigida e poco attenta militarizzazione delle risposte (fino al recente caso della portaerei Cavour mandata ad Haiti). Come ben illustrato dal generale Mini “la politica militare ha rinunciato a tutti gli strumenti “soft” dell’uso della forza, come la Deterrenza, la Dissuasione, la Cooperazione e la Rassicurazione e non è più ancillare di quella estera”“Molti sono convinti di dover affrontare una semplice crisi economica e sociale con i carri armati e le bombe nucleari”.
Un altro rischio legato ad una sempre maggiore estensione delle minacce è stato quello di aumentare le possibilità di giustificazione del ricorso all’uso della forza (vedi sempre contributo di Striuli). Mentre per tutta la fase bipolare, scottati dalla tragedia della seconda guerra mondiale, si è consolidato il principio della legittima difesa individuale e collettiva oppure nel quadro dell’art. VII del Consiglio di Sicurezza, con l’obiettivo di limitare l’uso della forza solo in funzione difensiva, proporzionale, immediata e necessaria,  l’ampliamento dello spettro di minacce nella misura già detta ha offerto un’infinità di possibilità/appigli per giustificare un intervento anche di natura offensiva. 
Il risultato è una progressiva erosione delle vecchie, pochem chiare regole a favore di una moltiplicazione di possibili di intervento, interpretate in modi diversi e che rischia di risolversi di fatto in un aumento della discrezionalità degli stati e un’assenza di regole e di limiti all’uso della forza.
 
2. L’assenza di regole e l’indebolimento del diritto bellico. Paradossalmente questo aumento delle cause e delle possibilità di intervento porta ad un’assenza di regole realmente vincolanti che giustifichino un intervento (domestic reasons). Purtroppo l’assenza di regole si riscontra anche nei nei modi di fare la guerra che investono la legittimità dell’avversario e i divieti inerenti la popolazione civile presenti nel diritto internazionale umanitario e nelle Convenzioni di Ginevra e relativi protocolli. A dispetto delle regole del diritto bellico che vietano di causare sofferenze non necessarie e di colpire civili, la guerra è sempre più totale.

3. Fini e fine della guerra. All’ampliamento del concetto di minaccia alla pace, corrisponde un aumento delle cause dichiarate di un intervento: dal terrorismo internazionale, alle armi di distruzione di massa, alle crisi regionali, ai cambiamenti climatici. Spesso più obiettivi si sovrappongono, mutano nel corso del conflitto, e i motivi dichiarati si confondono ed incrociano solo in parte con quelli reali. La conseguenza è che obiettivi, il fine e la fine della guerra sono meno chiari rispetto al passato, sino a dare lìimpressione che il conflitto si perpetui senza un risultato da raggiungere o peggio che il fine sia la guerra in sè (si veda sempre la riflessione del generale Mini).
     
4. Gli attori Nei conflitti attuali, in particolare nei conflitti “impazziti”,  come illustrato da Striuli, non abbiamo più solo due parti in conflitto, ma una molteplicità di attori e fazioni che cambiano anch’essi alleanze nel corso solitamente molto lungo e mutante nel corso del tempo. Anche la natura degli attori in gioco è profondamente cambiata. Emergono etnie, gruppi religiosi, mafie di interessi che si aggregano e disaggregano nel corso del conflitto. A ciò si aggiungono le organizzazioni non governative, le organizzazioni internazionali in un panorama sempre più complicato (in tal senso abbiamo chiesto un contributo a Paolo Busoni).  “Sotto l’appellativo di talebano” sosteneva un generale ad un recente convegno sulla ricostruzione post conflitto "finiscono una decina di figure tra loro differenziate che spaziano dal trafficante di droga al poverissimo.”  E’ evidente quindi la necessità di discernere e di operare uno sforzo di interpretazione delle differenti domande e risposte che possono provenire dai singoli attori.

In conclusione, pensiamo veramente che lo studio dell’evoluzione dei conflitti sia di fondamentale importanza, soprattutto all’interno del mondo della Pace e della Nonviolenza.
Analizzare i conflitti attuali, tentare di districarsi in un panorama sempre più complesso che investe gli attori (che non sono più solo due, ma si moltiplicano e si confondono), le cause reali e dichiarate che si intrecciano tra loro (diverse tra gli attori e mutevoli nel tempo), gli obiettivi (il ventaglio degli obiettivi politici che ci si pone) e i risultati raggiunti in
rapporto ovviamente ai costi in particolare per i civili; ecco gli obiettivi di analisi che dovremmo porci tutti insieme.  Con questo primo lavoro, stimolato con forza e convinzione dalla redazione di Mosaico di Pace che ringraziamo, vorremmo si avviasse un franco ed approfondito percorso di riflessione sull’evoluzione dei conflitti e della guerra, finalizzato, come primo passo, a formularci delle domande di fondo sensate.
Se non si comprende a fondo perché si va ad intervenire nei conflitti e se e come si ottengono dei risultati, se si danno per scontate le percezioni delle minacce, le forme di soluzione… si rischia di alimentare un sistema che va necessariamente a convergere in un indistinto "business della sicurezza", che rischia fortemente invece di alimentare insicurezza.

Nel campo delle armi di distruzione di massa, i trattati, le agenzie di controllo, come l’AIEA o l’OPCW dovrebbero essere rafforzati perché possono funzionare,  ma non ci si investe abbastanza, le soluzioni politiche e diplomatiche richiedono anch’esse investimento di tempo, competenza impegno e capacità di discernimento che però i Governi (ma anche in certa misura le opinioni pubbliche e le società civili) non sembrano disposti a mettere in campo. A nostro avviso bisogna incoraggiare riflessioni ed approfondimenti su aspetti talvolta trascurati: dagli strumenti di prevenzione a quelli di trasparenza e controllo, dall’analisi dei meccanismi che portano al riarmo alle relative ricadute su sicurezza interna, diritti umani, occupazione.
Pensiamo e speriamo che questo Dossier per Mosaico di Pace possa essere un primo piccolo investimento di questa particolare strada nella direzione della pace.
 

 

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