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F35: un progetto farsa dai costi enormi

Aggiornamento a metà 2011 su un progetto militare costoso e pieno di problemi che la nostra politica non discute e i nostri media non raccontano

Nel dibattito, già di per sé abbastanza nascosto, relativo alle scelte militari e di armamento del nostro Paese c’è davvero un grande scomparso: il cacciabombardiere F35. Come sta infatti il progetto del Joint Strike Fighter che per soldi investiti (dallo Stato) e promesse mirabolanti in termini di occupazione dovrebbe essere sulle prime pagine di tutti i giornali, in particolare in questo periodo?

I dubbi che invece il progetto non abbia poi tutti questi ritorni positivi, se non per le industrie belliche e i soliti luoghi di potere, diventano perciò ogni giorno più forti visto che il Governo, che pure quando è interpellato o pungolato in merito continua a difendere il programma, non ha ancora compiuto il passo decisivo di acquisto richiesto dalla posizione dell’Italia di partner di primo livello degli Usa capofila. Certo, con la Finanziaria approvata a fine 2010 qualche soldo è stato effettivamente già stanziato, in particolare per far cominciare i lavori sulle installazioni della FACO (Stabilimento di Produzione, manutenzione e collaudo) di Cameri. Ma si tratta ovviamente di briciole rispetto a quanto preventivato complessivamente, quasi un contentino per le aziende che fin da subito si sono accodate alle decisioni di partecipazione ormai partite oltre quindici anni fa.
La situazione di stallo va invece a rafforzare la posizione di chi (in particolare Rete Disarmo e Campagna Sbilanciamoci! seguite da un bel gruppo di realtà del mondo della nonviolenza tra cui Pax Christi) ha da tempo elaborato dati e analisi capaci di mettere a nudo i problemi grossi del caccia F35. Sarebbe certo molto  positivo e soddisfacente pensare che tutto sia fermo proprio grazie alla forza delle nostre campagne (si veda in particolare www.disarmo.org/nof35) ma la realtà mostra come le difficoltà siano altre, molto più profonde e globali. Il tutto si riassume fondamentalmente in due aspetti: gli alti costi e tempi di realizzazione (entrambi ampiamente debordanti tutte le previsioni di partenza) accompagnati da dei ritorni in termini operativi e tecnologici non all’altezza delle attese del mondo militare-industriale.
Sul fronte di chi è favorevole al JSF in Italia va riconosciuta la posizione chiara ed onesta della nostra Aeronautica Militare capace, anche in un incontro all’aeroporto di Cameri con una delegazione composta pure da rappresentanti di Pax Christi, di esplicitare le proprie necessità ed una serie di numeri che però paradossalmente sono i primi a mettere in forte dubbio gli sbandierati vantaggi occupazionali e tecnologici per il nostro paese.

Un po’ di storia, per capire la situazione attuale

Il Joint Strike Fighter (F35) è un caccia multiruolo di quinta generazione: un aereo da combattimento monomotore e monoposto ottimizzato per il ruolo aria-terra (quindi per l’attacco) progettato con due stive interne per le bombe che possono essere anche di tipo nucleare. E’ un velivolo di tipo stealth, cioè a bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e di altri sensori, e avrà la capacità di operare come parte integrante di un “Sistema di sistemi” ovvero di una combinazione data da combattimento, raccolta di intelligence, sorveglianza dei teatri perativi e capacità di interagire con i sensori terrestri ed aeroportuali. L’F35 sarà sviluppato in tre versioni (di cui una a decollo corto e atterraggio verticale per portaerei) all’interno di un progetto realizzato in cooperazione da Stati Uniti ed altri 8 partner: Regno Unito (primo livello), ed Olanda (secondo livello) e infine e Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca (terzo livello). Il programma condiviso dai paesi partner ha previsto di base (ma visti i problemi i numeri continuano a cambiare) la costruzione di 3.173 aerei, dei quali 2.433 sono per gli USA: l’Italia avrebbe una quota di acquisto di 131 esemplari.
Nel nostro paese si è iniziato a parlare del progetto nel 1996 e tutti i passaggi decisionali successivi (con Governi di differente colore) hanno visto una conferma delle intenzioni di partecipazione. Come detto però ad oggi ancora non è stato firmato il contratto definitivo con costi e quantità certi. A parte le solite lungaggini italiche, il nocciolo di questa indecisione finale sta tutto nei problemi di bilancio dei governi di tutto il mondo in seguito all’attuale crisi economica e finanziaria: alla fine dei 2010 diversi Governi europei hanno deciso di tagliare anche le spese militari, come la Gran Bretagna che ha annunciato riduzioni dell’8% pari a 5,3 miliardi di euro in 4 anni, la Francia che ridurrà del 15% risparmiando 5 miliardi in tre anni, mentre la Germania ha deciso di risparmiare 4,3 miliardi di euro, pari al 13,9% delle sue spese militari complessive.
In particolare la Gran Bretagna ridurrà sistemi d’arma come i nuovi caccia F35 ed anche gli Eurofighter del quale eliminerà la tranche 3B. La Danimarca ha congelato per due anni la sua partecipazione al programma F35.
Ma anche al di là dell’oceano le cose non andranno diversamente. Una commissione bipartisancreata dal presidente Barack Obama per ridurre il debito pubblico americano ha proposto tagli annui di 100 miliardi di dollari al bilancio della Difesa a partire dal 2012. A regime un quarto dei risparmi proposti deriverebbe da sistemi d’arma avviati con molta facilità sulla scia degli eventi dell’11 settembre ma rivelatisi mastodontici ed inutili. Tra questi la versione per i Marines dell’F35-B a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl), affetto da diversi problemi e il cui taglio dovrebbe far risparmiare 17,6 miliardi di dollari nel quadriennio 2011-2015. Inoltre è stato avanzato il consiglio di sostituire la metà dei JSF programmati per la Us Air Force con F16 e per la Us Navy con F18 in modo da risparmiare 9,5 miliardi da oggi al 2015.

I problemi del JSF: alcuni numeri importanti

In un contesto del genere un progetto pieno di buchi e problemi non poteva certo sopravvivere allegramente come capitato invece per diversi decenni a qualsiasi programma di acquisizione militare. Le bacchettate alla Lochkeed Martin (capocommessa del progetto) e alla cordata di aziende produttrici (tra cui Alenia Aeronautica e diverse altre della galassia Finmeccanica) sono infatti arrivate anche da organismi non certo appartenenti al mondo del disarmo tra cui il Government Accountability Office (GAO): un’agenzia indipendente che supporta il Congresso USA nel monitoraggio dell’azione del Governo Federale simile alla nostra Corte dei Conti.
Il GAO ha sempre controllato il progetto del JSF denunciandone l’aumento dei costi, i ritardi nella produzione, lo scarso numero di collaudi oltre a veri e propri incidenti e fallimenti tecnici.
Nell’ultimo rapporto dedicato all’F35 (maggio 2011) gli esperti del GAO hanno sottolineato come i costi di sviluppo siano cresciuti del 64% rispetto alle stime iniziali mentre il costo di acquisto previsto (ad oggi) di ogni singolo aereo sia ormai raddoppiato. Il tutto quando ci si trova ancora (dopo 12 anni di lavoro) in una fase di progettazione e test che lascia spazio a poche certezze e a probabili aumenti ulteriori. Le previsioni attuali indicano inoltre che i costi di mantenimento e gestione per tutta la vita di ogni esemplare saranno sostanzialmente più alti delle tipologie di aereo che il JSF dovrebbe andare a sostituire.

Un crescendo di problemi che ha messo davvero nei guai Lochkeed Martin (per la prima volta nella storia “multata” dal Pentagono) con un programma che dopo i dubbi espressi da tempo da Paesi come Norvegia e Danimarca ha dovuto incassare posizioni negative anche in Gran Bretagna e Canada, dove diverse voci si sono recentemente levate contro una spesa che pare inopportuna e soprattutto totalmente impreventivabile. L’esercito di Sua Maestà ha invece deciso fin da ora di cancellare l’ordine relativo ad una delle versioni previste, quella ad atterraggio verticale utile soprattutto sulle portaerei. Lo stop espresso dai Paesi Bassi (che devono ancora definire l’entità reale della propria partecipazionvarianti JSFe al progetto) è invece preoccupante soprattutto per quanto riguarda la catena logistica, perché sono gli olandesi a dover compartecipare con noi – secondo i piani – alla realizzazione delle strutture di collaudo e manutenzione. Per l’Italia ciò si appoggia alla struttura FACO di Cameri già citata, ed una eventuale retromarcia olandese potrebbe comportare oneri aggiuntivi e difficoltà tecnico-industriali non banali, come ammesso ufficiosamente anche da alcune fonti militari. In tal senso va continuamente ricordato come i costi di mantenimento di una serie di velivoli militari (ricambi, sistemazioni, addestramenti dei piloti, gestione ordinaria a terra) siano di solito ben più alti degli assegni staccati per il semplice acquisto: secondo il New York Times, che cita comunicazioni ufficiali del Ministero della Difesa, l’operatività dei 2400 JSF a stelle e strisce costerà in complesso 1000 miliardi di dollari a fronte della spesa di acquisto di “soli” 382 miliardi. I costi di mantenimento e supporto sarebberi quindi in meria del 33% più alti se comparati con quelli per i vecchi F16 ed F18.
La pressione sul progetto e sulle aziende che lo stanno portando avanti cresce quindi in ciascuno dei paesi interessati, ma è particolarmente significativa proprio negli Stati Uniti capofila della costruzione dell’F35 dove circa un mese fa il Pentagono ha definito i costi “inaccettabili”.

Non per nulla, al fine di recuperare un po’ di soldi, il sottosegretario Ashton Carter ha proposto all’India (che ha da tempo annunciato di voler procedere all’acquisto di diversi caccia militari, in quella che sarà la commessa aeronautica più grande per almeno un decennio) di comprare gli F35 di ultima generazione nonostante in corsa ci fossero già alcuni caccia americani sempre della Lochkeed Martin. Speranze vane perché gli indiani hanno ristretto la scelta a due aerei europei: il francese Rafale e l’Eurofighter a cui partecipa anche l’Italia. Che quindi, nel voler sostenere anche il progetto con gli americani F35, si dimostra strabica e incapace di scelte definitive.

Il tira e molla italiano

Di questa situazione problematica, che diversi analisti internazionali e pure qualche governo leggono come incertezza forte sul programma e rischio addirittura di una sua cancellazione, alla politica italiana e alla nostra opinione pubblica industriale poco importa. Si continua ad affrontare il problema senza partire dai dati e dalle opportunità ma come scelta “di bandiera” basata solamente su luoghi comuni e discorsi campati per aria. La maggiore bugia da sempre espressa è stata quella relativa al ritorno occupazionale e tecnologico che il progetto F35 Joint Strike Fighter avrebbe portato al nostro paese. Una bugia efficacemente demolita da un recente documento elaborato da Gianni Alioti della Fim-Cisl, di cui è utile riportare alcuni stralcii.

“Dopo un silenzio iniziale, la Lockeed Martin ha reso note le prime cifre con cui sarebbero venduti agli USA i primi 30 aerei attualmente in linea di montaggio. Il costo complessivo supererebbe i 5 miliardi di dollari, comprendenti eventuali integrazioni successive di sistemi avionici e d’arma, ma esclusi i motori.
Ciò porterebbe il costo medio per singolo esemplare intorno ai 170 milioni di dollari, senza i propulsori. Il 79% in più rispetto al costo unitario di 94,8 milioni di dollari calcolato nel giugno 2006 dal Centro Ricerche del Congresso USA e il 174% in più rispetto al costo iniziale di 62 milioni di dollari previsto dalla Lockeed Martin”
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Le ultime stime di costo medio, relativo quindi a tutte le versioni sviluppate, diffuse dal Pentagono successivamente a questi dati aziendali parlano di 133 milioni di dollari per esemplare, comunque ben al di sopra di qualsiasi stima previsionale (anche aggiornata). Ai costi attuali l’acquisto dei 131 aerei F35/JSF, comporterebbe per l’Italia una spesa di oltre 15 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere i costi dei propulsori, stimabile in 7,3 milioni di dollari ad esemplare: “calcolato in euro e moltiplicato per il numero degli aerei in acquisto con i soldi dei contribuenti italiani sono altri 735 milioni di euro”.
Se aggiungiamo a questi conteggi i soldi già spesi dall’Italia per le prime fasi di sviluppo e per la costruzione delle strutture di Cameri otteniamo un salatissimo conto complessivo di 20 miliardi di euro, addirittura molto più alto delle stime allarmanti e assolutamente non convenienti da sempre esplicitate dalle campagne disarmiste create contro l’acquisto di questi super-caccia.
A tutto questo si aggiunge poi la partita relativa ai tempi di produzione: le difficoltà finanziarie ma anche diversi intoppi di natura tecnica porteranno questi certamente ad ulteriori anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia: “questo significa che la fase di sviluppo e progettazione invece di terminare nel 2012 finirà nel 2015. Ciò si rifletterà, di conseguenza, anche sull’avvio della produzione standardizzata a Cameri che era prevista nel 2013”. Conseguenza diretta è uno slittamento anche delle attese occupazionali corrispondenti a 1.816 addetti suddivisi in due turni, distribuiti su sei giorni la settimana dichiarati dal sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto.

L’analisi di Alioti cerca però anche di tenere conto di tutta una prospettiva distorta che ha sempre cercato di sostenere a più livelli e su più tavoli (facendo gola anche a tutto un mondo imprenditoriale) un ritorno sovrastimato che ha quindi drogato qualsiasi tentativo di riflessione e confronto: “il vero consuntivo politico, economico e sociale sul programma F35 deve essere fatto rispetto alle manipolazioni mediatiche e parlamentari dell’ex-sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri e del generale Leonardo Tricarico, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica italiana che, all’inizio del 2007, a sostegno della partecipazione al programma F35 vendettero la panzana della creazione di diecimila nuovi posti di lavoro per i prossimi 45 anni. A distanza di quattro anni l’attuale sottosegretario, Giuseppe Cossiga con deleghe all’acquisto degli armamenti e al settore tecnico-industriale della Difesa ha dovuto ammettere in un’intervista che, nonostante l’ingente investimento di risorse per gli F35 e in conseguenza della chiusura della linea Eurofighter, ci saranno in Italia a regime 3 mila occupati in meno nel settore militare dell’industria aerospaziale”.
 
Attualmente secondo il Ministero della Difesa nella struttura industriale di Cameri si creeranno circa 600 posti di lavoro (nella fase di picco), più una spinta occupazionale nelle aziende locali e nazionali quantificata in circa 10.000 posti di lavoro. “Una cifra sicuramente esagerata, se si pensa che in Italia l’industria a produzione militare nel 2008 ha dato occupazione a 26.395 persone. È più realistica l’ipotesi delle parti sociali che parlano di 200 occupati più altri 800 nell’indotto.
Come già sottolineato diverse volte anche dalle campagne per il disarmo, in realtà molti di questi posti di lavoro saranno solo ricollocazioni di chi perderà il posto per i tagli all’Eurofighter. Una situazione incandescente che ha già visto diversi scioperi e manifestazioni dei lavoratori di Alenia.

A fronte di tutti questi dati, che usualmente non vengono mai diffusi in maniera completa e ragionata all’opinione pubblica, il deficit italiano riguarda anche l’abdicazione della politica, che sembra non voler parlare di questo progetto, lasciando tutto sotto una cortina fumogena e demandando una decisione che impegna così tanti soldi pubblici a tecnici e burocrati. Ne è esempio chiaro l’iter della mozione contro l’acquisto degli F35 presentata sia al Senato (primo firmatario l’ex senatore Veronesi) che alla Camera (primi firmatari gli onorevoli Pezzotta e Sarubbi): in questo ramo del Parlamento la discussione in aula era stata calendarizzata per marzo dando così occasione anche alla campagna NO F35 (che aveva stimolato la presentazione di tali mozioni) di poter far parlare del tema. Tutto cancellato: grazie a pressioni incrociate la conferenza dei capigruppo ha poi tolto dal calendario la discussione e quindi ancora una volta il nostro Parlamento ha perso un’occasione per occuparsi di un tema serio, importante e soprattutto dal grosso impatto per le casse dello Stato.

Eppure sarebbe così opportuna una discussione approfondita… anche perché ci si accorgerebbe che l’alternativa conviene! Quanto? Basta andare a vedere i dati diffusi da tempo dalla Rete Italiana per il Disarmo e dalla Campagna Sbilanciamoci!
O forse a qualcuno interessa più comprare dei giocattoli militare sofisticati piuttosto che ricostruire l’Aquila terremotata o mettere in pista politiche di sostegno a famiglie e lavoratori colpiti dalla crisi?jsf
 

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