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Diritti

Privati contro pirati: la sicurezza è sul mercato

Per contrastare gli attacchi "pirati" in Africa, il Governo ammette l’ingresso a bordo delle navi di personale armato anche non militare, sebbene le leggi che regolano tale comparto siano degli anni ’30. Un altro passo verso la privatizzazione della Difesa, mentre nel mondo gli operatori di sicurezza privati sono il doppio di quelli pubblici.

Tratto da Altreconomia 130 — Settembre 2011

Qui non si tratta delle Tigri di Mompracem: i “pirati” da affrontare con misure adeguate – in pratica imbarcando unità militari armate a bordo dei nostri mercantili – sono quelli che incrociano al largo del Corno d’Africa: i famigerati “pirati somali” (anche se recenti episodi sono avvenuti anche in mari molto diversi) che, approfittando dell’assenza di qualsiasi struttura di controllo statale, lanciano i propri barchini all’assalto delle navi sulle rotte di Suez.
I poco efficaci tentativi di controllo effettuati dal nostro e da altri Paesi mediante l’invio di navi militari hanno portato, su pressione e plauso della Confederazione degli armatori (CONFITARMA), ad una soluzione nuova: ammettere a bordo del personale armato. Il decreto-legge 107 dello scorso luglio (quello relativo alle missioni all’estero, poi approvato definitivamente ad inizio agosto) prevede infatti che gli armatori possano stipulare con il Ministero della Difesa una convenzione per imbarcare, a richiesta e con oneri a loro carico, Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina supportati anche da personale delle altre Forze armate. E’ stata proprio la Marina Militare – i cui portavoce lo hanno confermato direttamente anche ad Altreconomia – a suggerire tale soluzione, con un inquadramento da agenti di polizia giudiziaria per non dover sottostare ai comandi del Capitano del mercantile, mentre appare ancora poco chiaro allo stesso Ministero della Difesa – anch’esso da noi contattato – come e da chi verranno sottoscritti i relativi contratti (e le tariffe da applicare). Il tutto, ovviamente, su pressione di chi possiede interessi economici e politici verso una soluzione di questo tipo, con interventi che hanno portato a modifiche del testo di legge anche all’ultimo minuto.

Vista l’escalation di assalti e rapimenti di questi ultimi mesi una decisione del genere potrebbe sembrare naturale, ma resta tutta da dimostrare la reale efficacia deterrente dell’operazione: al contrario la presenza di armati a bordo potrebbe rendere più aggressivi i pirati con aumentato rischio soprattutto per i marittimi. Senza contare i problemi di natura giuridica internazionale: diversi paesi impediscono l’accesso alle acque territoriali di navi con armi a bordo, procedendo add immediato arresto di eventuali scorte armate.
Ma le sorprese della nuova norma non finiscono qui: nell’articolo 5 si prevede infatti che qualora non siano attivabili i servizi di protezione tramite Nmp della Marina, gli armatori possano accedere a servizi di vigilanza privata “svolti con l’impiego di particolari guardie giurate armate, a protezione delle merci e dei valori sulle navi mercantili e sulle navi da pesca battenti bandiera italiana negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria”. Una vera e propria privatizzazione della sicurezza sui mari visto che per motivi di costo e di controllo, oltre che per vantaggi di natura assicurativa, gli armatori saranno più invogliati a rivolgersi ad aziende private piuttosto che alla Marina Militare. Di certo c’è che nello stesso decreto-legge poi convertito la regolamentazione dedicata al personale delle forze armate appare molto stringente e complessa, mentre per i servizi di vigilanza privata si rimanda a un regio decreto del 1931. In realtà le numerose pressioni dietro le quinte sono state operative fino in fondo: la versione approvata dei commi 4 e 5 dell’articolo in questione è infatti molto più articolata di quella proposta nel Dl di fine luglio, forse per ovviare a problemi e critiche facilmente elevabili. Alla fine dell’iter parlamentare si fa infatti riferimento alla politica di sicurezza europea (PESC) ed anche alle norme dell’International Maritime Organization delle Nazioni Unite, per dare un vestito internazionale al provvedimento, e si consente l’intervento di guardie giurate (scelte "preferibilmente tra quelle che abbiano prestato servizio nelle Forze Armate") solo sulle navi predisposte per la difesa da atti di pirateria. Come? Attuando "almeno una" delle tipologie di protezione del naviglio comprese nelle "best management practices" definite dall’IMO.

Tutte cose comunque da definire in maniera precisa, per cui avranno dunque un bel daffare gli uffici dei Ministeri della Difesa, degli Interni e delle Infrastrutture per riuscire ad emanare (entro sessanta giorni, ma ancora non si capisce chi dovrebbe tenere le fila della stesura) i regolamenti attuativi di questo provvedimento. Le regole concrete riguarderanno sia le forme di contratto possibili sia le procedure di gestione delle armi e munizioni in dotazione a questi gruppi armati, che se mal scritte potrebbero far configurare diverse violazioni delle normative (sia italiane che internazionali) riguardanti l’export ed il transito di armi. Tanto è vero che nella seconda e finale stesura di questi commi si specifica con precisione che le guardie giurate, solo entro i limiti delle acque internazionali a rischio pirateria (e quando si entra o esce dai porti?) potranno "utilizzare le armi in dotazione delle navi, appositamente predisposte per la loro custoria, detenute previa autorizzazione del Ministero dell’Interno rilasciata all’armatore".

Secondo Carlo Biffani (direttore generale di Security Consulting Group, un’azienda di protezione e sicurezza tra le prime e più influenti in Italia di questo mercato) che ha accettato con trasparenza di rispondere ad alcune nostre domande: "Ci sono grosse difficoltà in termini di preparazione del medesimo regolamento, soprattutto per fare in modo di dotare i due competitors, quello pubblico e quello privato, delle stesse possibilità di impatto sul mercato. Il rischio è infatti legato alla possibilità che se i militari avessero basi, libera circolazione delle armi in loro dotazione, facilitazioni negli spostamenti, negli imbarchi e negli sbarchi, noi privati saremmo di fatto tagliati fuori da qualsiasi possibilità di entrare davvero in un mercato che invece potrebbe essere di enorme interesse".

Gli interessi e le pressioni in gioco sono state ampi e varie, tanto che le Forze Armate hanno di fatto perso la gestione diretta della protezione navale: "La legge prevede che gli armatori abbiano l’obbligo di chiedere supporto in primis alla Forza Armata e qualora ricevessero risposta negativa, possono rivolgersi alla risorsa privata – continua Biffani – In entrambi i casi le spese relative alla effettuazione del servizio saranno a carico degli armatori. Personalmente conduco una battaglia da oltre quattro anni nella quale ho evidenziato anche con un libro scritto insieme ad Alberizzi ed Olimpio, la necessità e l’urgenza di permettere agli armatori, d’esercitare il diritto alla legittima difesa. Ho avuto tra i primi detrattori proprio alcuni ufficiali della Marina, la stessa che ora si è fatta promotrice del progetto che vede coinvolti sia loro che le risorse provenienti dalla sicurezza sussidiaria". Secondo Biffani questa strada è stata scelta perché nessuna nave imbarcante protezione ha mai subito attacchi (anche se qualche notizia ed una statistica più attenta potrebbe smentire questa affermazione) ma soprattutto per ovviare ad un buco normativo: "Se prima della promulgazione della legge qualcuno fosse salito a bordo di navi commerciali battenti bandiera italiana per effettuare servizi armati di protezione avrebbe violato la legge. Cionondimeno si vocifera che qualche armatore abbia comunque deciso di dotarsi già da tempo di personale armato pur di non correre rischi. Possibile che se ciò sia accaduto possa essere successo impiegando personale straniero".

Il problema è che con un provvedimento così aperto (oltreché basato su leggi obsolete) ed un rimando a regolamenti ancora da scrivere la pezza sembra essere peggiore del buco, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto del trasporto e della circolazione degli armamenti, ovviamente necessari per qualsiasi servizio di protezione.

L’importanza di questa notizia sarebbe però forse relativa, se non inserita in un contesto che vede il modello di difesa “privata” (degli Stati, degli interessi, dei patrimoni aziendali e personali) sempre più vincente rispetto ad una gestione pubblica – e quindi maggiormente trasparente, almeno in teoria – del controllo del territorio e delle attività criminali.
Secondo il rapporto annuale “Small Arms Survey” (che ha dedicato al tema la sezione di approfondimento dell’edizione 2011 – i capitoli in oggetto sono scaricabili a lato) lo sviluppo del mercato globale della sicurezza è esploso negli ultimi anni, raggiungendo livelli mai toccati. Da una ricognizione effettuata nei 70 paesi in cui questo trend è maggiormente sviluppato, gli esperti del Graduate Institute of International and Development Studies hanno trovato che il numero degli operatori privati della sicurezza è ormai quasi il doppio rispetto a quello delle forze di polizia pubbliche. Siamo ormai arrivati ad una stima (per difetto) circa 20 milioni di “impiegati” del settore. Va sottolineato come esista ancora una forte disparità fra Stato e Stato in questo rapporto: più della metà dei casi analizzati dalla ricerca vedono infatti gli operatori privati della sicurezza superati in numero da quelli pubblici. Tra questi paesi anche l’Italia, in cui il rapporto si attesta sul 12%, con circa 8small arms survey0 dipendenti di compagnie di sicurezza privata per 100.000 abitanti. Il numero così basso è favorito soprattutto dal denominatore: il nostro paese è infatti quello con il numero più alto di poliziotti in rapporto alla popolazione, superando in questa classifica anche paesi con tradizione di “controllo” come la Bulgaria, il Montenegro e la Macedonia e più che raddoppiando i livelli di Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Nel rapporto si prende inoltre in considerazione la quantità di pistole e fucili nelle mani degli operatori privati della sicurezza; in questo caso il numero è molto più basso delle armi a disposizione dei corpi di polizia, ma il trend in crescita e i numeri non proprio modesti (la stima è di 4 milioni di pezzi) potrebbero favorire, insieme a maglie di controllo oggettivamente più deboli rispetto al settore pubblico, una serie crescente di traffici di armi leggere magari proprio a partire da queste compagnie.

Il comparto economico della sicurezza privata, sia in contesti di pace che nelle aree di conflitto del mondo, sta crescendo a dismisura in questi ultimi anni anche se rimane caratterizzato da situazioni molto variegate: ne fanno parte sia piccole strutture territoriali di vigilanza, sia compagnie multinazionali capaci di firmare contratti milionari con Governi, aziende internazionali e strutture commerciali di grande dimensione. Il problema è che a questo sviluppo nei fatti non corrisponde per nulla un’analoga crescita nel dibattito sul ruolo possibile di questi operatori e soprattutto sui controlli e le regolazioni relative.

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