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Opinioni

L’importanza della quota

Una legge promuove la presenza di genere nei consiglio d’amministrazione. Chi è contrario alimenta un dibattito sterile e ideologico. Ecco i numeri che spiegano l’importanza delle “quote rosa”

Tratto da Altreconomia 132 — Novembre 2011

Il 28 Giugno del 2011 il Parlamento italiano ha approvato la legge sulle quote di genere, definita da tutti “quote rosa”, ad indicare la vera natura della legge, che ha come obbiettivo quello di promuovere le donne. In base a questa disposizione i consigli di amministrazione dovranno essere composti per un quinto da donne (entro il 2012) e per un terzo (nel 2015).
Il dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge, e le discussioni che ancora oggi si sentono nei salotti televisivi, ha molto in comune con gli altri dibattiti italiani: la mancanza di analisi dei dati e la conseguente natura squisitamente ideologica della discussione.
Il primo dato significativo, che manca, è quello relativo alla presenza delle donne nei cda, che per il 2010 in Italia non raggiunge il 3,5%, a fronte di una media europea dell’11%. Solo il Portogallo ha dati di partecipazione inferiori al nostro. Stanno invece molto meglio le donne scandinave, “presenti” al 27%. A livello internazionale, hanno dati simili al nostro Paesi come il Marocco, il Cile e la Corea del Sud. È indispensabile, quindi, parlare di quote tenendo presente che le donne italiane al vertice non arrivano quasi mai.
La letteratura accademica ha definito questo problema “il tetto di cristallo”, che per le donne di tutto il mondo indica una barriera invisibile e insormontabile che impedisce di proseguire la propria carriera oltre un certo livello. 
Un altro dato da sottolineare è che solo dove le quote di genere sono state introdotte si sono raggiunti rapidamente elevati livelli di partecipazione. La Norvegia, ad esempio, ha introdotto le quote nel 2005, con precise caratteristiche. La legge definisce con precisione il numero di rappresentanti di ambo i sessi che devono essere presenti nei consigli di amministrazione, fino a definire che nei cda formati da più di 9 membri il rapporto tra i membri di sesso diverso non deve superare il 40%. Secondo un recente studio di Deloitte, oggi le donne norvegesi nei cda della società per azioni sono il 31.3%, e su un campione di 23 società quotate rappresentano il 34.3% dei membri dei cda. Per chi non rispetta le quote, la legge norvegese prevede sanzioni severissime, fino allo scioglimento della società. La Spagna, invece, ha introdotto le quote di genere nel 2007, e due anni dopo la percentuale delle donne che ricoprono incarichi dirigenziali ha raggiunto il 9.26%.
Hanno introdotto misure simili alla nostra anche il Belgio, il Canada (che sembra voler spingere la quota al 50%), la Francia, l’Olanda, che pure non partono da un livello “basso” come l’Italia.
Se l’esperienza relativa alle quote per i cda è recente, quella relativa ai parlamenti ha una storia di 40 anni. In un interessante libro di Anne Stevens, Donne, potere, politica (il Mulino, 2009), l’autrice evidenzia la correlazione esistente tra i sistemi democratici dove i partiti hanno introdotto volontariamente le quote con la presenza di donne nei parlamenti. L’adozione delle quote cominciò in Norvegia alla fine degli anni Settanta, e oggi le donne sono quasi il 40%. In Svezia, dove i più importanti partiti della sinistra si sono imposti una quota del 50%, le donne in Parlamento sono il 45%. Nella maggior parte dei casi quote per i partiti sono volontarie, ma in Belgio dal 1994 e in Spagna dal 2006, esistono delle leggi che comportano sanzioni per i partiti che non rispettano le quote, e le donne nelle camere sono rispettivamente 39,3% e 36,6%. Il progetto Quotaproject dell’Università di Stoccolma ci consente di guardare anche alle altre economie “maschiliste” come la nostra, e vedere che in Portogallo -dove esistono le quote- le donne in Parlamento sono il 27%, in Grecia -dove non esistono- rappresentano il 17%. Secondo molti, l’introduzione delle quote rosa non consente al Paese di istituire un sistema di merito. È opportuno ricordare che in Italia, da anni, le donne laureate sono più degli uomini e ottengono voti mediamente più alti. Inoltre, l’inserimento delle quote porta all’attenzione dei media il problema del merito. L’attenzione sociale e del mercato al processo di selezione di donne non può che aumentare la vigilanza e la pressione per criteri di selezione più meritocratici anche degli uomini. In prospettiva, quindi, ciò potrà beneficiare anche altre fasce che in Italia sono deboli quanto le donne, si pensi soprattutto ai giovani. È probabile che l’ingresso di numerose donne preparate nei consigli di amministrazione comporterà l’entrata di numerose “giovani”, con un conseguente bilanciamento anche in termini di età. —

* economista, autrice del libro "Le donne reggono il mondo" (Altreconomia, 2010)

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