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Esteri

La città con i campi in centro

Benvenuti nell’olandese Almere, che punta all’autosufficienza alimentare ed energetica. E dove anche il Comune è proprietario di una fattoria

Tratto da Altreconomia 130 — Settembre 2011

Dal finestrino del treno che collega queste terre con Amsterdam, in pochi chilometri si vedono centinaia di mucche che pascolano in un paesaggio regolare e, prima di arrivare ai margini di Almere, verso sinistra si vede una rete stradale che è già stata realizzata prima delle case. La dimensione di queste strade, complessivamente piuttosto piccole, sembra sottolineare che questa terra è una campagna pienamente produttiva; anche se gli incroci già attrezzati con una segnaletica tipicamente urbana fanno intuire che questi campi sono già stati destinati a trasformarsi in futuri quartieri.
In Olanda esistono città che, partendo dalla volontà di limitare o fermare il consumo di suolo, hanno fatto un ulteriore passo avanti provando a fare i conti anche con l’aumento delle dimensioni dell’urbanizzato -che, in molti casi, è inevitabile- provando a garantire un equilibrio diverso tra la parte costruita delle città gli spazi aperti che, in Olanda, sono in larga parte coltivati.
La città che più di ogni altra ha lavorato in questa direzione è Almere, un comune che da più di trent’anni viene pianificato insieme alla sua campagna, facendo della campagna urbana addirittura l’elemento caratterizzante del futuro della città, puntando alla sua autosufficienza alimentare ed energetica. Non si tratta di un’utopia ruralista chiusa e pensata per una piccola comunità, ma di una realtà che oggi ha poco meno di 200.000 abitanti -come Brescia e Reggio Calabria, per intenderci- in cui ci sono 13.000 imprese registrate, molte delle quali ad alta tecnologia, e che è nata per accogliere una parte delle molte persone che, da decenni, si concentrano sempre di più nell’area metropolitana di Amsterdam.
Almere è nata nel 1975, sopra uno dei tre grandi polder che sono stati creati a metà del secolo scorso per difendere le terre fertili dalle continue esondazioni del mare e per dare nuova terra ad una nazione in crisi da sovrappopolazione: da allora, Almere cresce costantemente al ritmo di 30.000 abitanti ogni 5 anni. Nel contesto olandese la riduzione del consumo di suolo è un imperativo che costituisce un ingrediente di base delle scelte pubbliche e delle tecniche di pianificazione: nel caso di Almere questo imperativo si traduce anche in obiettivi di progettazione sostenibile radicale dei centri urbani della grande area metropolitana di Amsterdam, che ridanno un senso strategico alla campagna sia alla grande scala, sia nell’organizzazione della forma e della vita dei suoi quartieri.
Il principio che ispira le principali scelte pubbliche sulla città è quello di considerare la campagna produttiva e le fonti energetiche come un patrimonio che va rinnovato ciclicamente, cambiando alla base anche la stessa concezione della città e della sua vita. Si tratta di un’applicazione dei principi della cosiddetta “sostenibilità cradle to cradle” -“dalla culla alla culla”, secondo la definizione coniata dall’architetto americano William Mc Donough- che, una volta tradotti in tecniche e in scelte pubbliche di lungo periodo condivise con la popolazione, cambia dalle fondamenta i presupposti su cui si costruisce la città: da luogo del consumo a luogo della rigenerazione. L’effetto di queste scelte è chiaramente percepibile anche da parte di chi si avvicina alla città per la prima volta. Arrivando dal ponte che collega Amsterdam con il Zuidelijk Flevoland, il polder su cui si trova Almere, il rapido ritmo di crescita della città non pare particolarmente evidente a prima vista, perché non si notano cantieri sparsi o una selva di alte gru al lavoro per costruire grandi contenitori per abitanti. È una sensazione strana quella che si prova avvicinandosi ad Almere, perché tutto appare piano e disponibile come le campagne circostanti. Se da un lato, è sempre molto netto il confine esterno della città e non esistono lunghe file di capannoni di scarsa qualità disposti in modo tentacolare lungo le strade periferiche che rompono in modo irreparabile la continuità delle aree coltivate, la campagna produttiva è anche dentro la città, segnandone in modo preciso i connotati. La città è stata pensata come un organismo unico che prevede aree costruite e spazi liberi che comprendono anche la campagna urbana.
In alcuni punti ben circoscritti si vede chiaramente il lavoro di continua costruzione della città e ci si accorge con evidenza del fatto che ciascun quartiere ha una sua forma caratteristica e i suoi servizi pubblici: teatri, centri sportivi, stazioni del treno, vengono realizzati subito, insieme alle case; in diversi casi addirittura prima di esse.
Molti quartieri hanno case basse con giardini, orti e spazi comuni in abbondanza, ma non mancano le zone con edifici per uffici di venti o trenta piani. Una delle cose che colpisce maggiormente è la possibilità diffusa di vivere bene e di potere fare tante cose negli spazi pubblici, avendo a disposizione una grande varietà di ambienti: le strade di scorrimento sono tutte esterne ai quartieri residenziali e, nelle strade di quartiere dove le macchine sono una rarità, sono molti i bambini che giocano per strada. Ovunque, poi, si trovano percorsi ciclabili, spazi pedonali, giardini di vicinato senza steccati, piccoli parchi ben curati e attrezzati che si alternano a canali con rive abitate da lepri e uccelli in una vegetazione spontanea che assomiglia a quella di molti corsi d’acqua della nostra campagna aperta anche se ci si trova nelle aree centrali di Almere. In generale colpisce lo scarso numero di macchine circolanti, anche perché una buona parte delle persone utilizza una combinazione di bicicletta e mezzi pubblici e, ogni dieci minuti, ci sono treni che passano da una delle sei stazioni della linea ferroviaria che attraversa la città e che permettono di raggiungere la stazione centrale di Amsterdam o il grande hub dell’aereoporto internazionale di Schipol in 20 minuti.
Almere attrae molti giovani, nuove imprese e persone di tutte le nazionalità: un terzo della popolazione, infatti, è di origine straniera con persone che provengono da 130 nazioni diverse ed è interessante notare come questo approccio che unisce ricerca di qualità sociale, forte impegno ambientale, alto livello dei servizi ed accoglienza per i giovani e le culture diverse sia stato condiviso e sostenuto da tutte le giunte che si sono alternate in questi trentacinque anni.
La maggior parte delle case a schiera o delle case mono e bifamiliari ha un orto privato, ma esiste anche un servizio del Comune che aiuta gli abitanti che desiderano coltivare un pezzo di terra ad unirsi ad una delle associazioni che gestiscono in modo collettivo diverse aree coltivate che si trovano all’interno della città.
Questo rapporto tra terra coltivata e quartieri costruiti ha una delle sue espressioni migliori nella Stadstandgoed De Kemphaan, una fattoria urbana al centro di un’area coltivata di circa 400 ettari che è stata progettata insieme alle prime case di Almere nel 1975 e ora si trova a circa tre chilometri dalla stazione centrale, non lontano dai palazzi alti per uffici. È uno dei cuori pulsanti della città e ospita molte attività culturali e scientifiche di rilevanza internazionale, ma è prima di tutto una fattoria biodinamica che produce cibo per gli abitanti di Almere e che comprende un allevamento di 130 vacche da latte e altri animali da cortile. Tineke van den Berg e suo marito Tom Saat la gestiscono dal 1995 per conto della municipalità: il Comune, infatti, è il proprietario dei terreni e ha selezionato la coppia attraverso un concorso pubblico. Nel bando di gara si chiedeva ai candidati di proporre dei progetti di gestione di lungo periodo, vincolandoli ad una serie di prescrizioni come l’obbligo di coltivare con criteri biologici, di vendere i prodotti agli abitanti di Almere e di proporre una serie di attività di ospitalità e di animazione rivolte al pubblico sugli stili di vita sostenibili e altri temi di rilevanza sociale e ambientale.
Tineke è orgogliosa del nuovo capannone che hanno appena ultimato e che utilizzano come rimessa per le macchine agricole, perché è stato realizzato tutto in legno utilizzando piante appositamente coltivate nei terreni della loro azienda. Per questa costruzione, così come per altre attività, hanno lavorato anche insieme a gruppi di abitanti e a scuole che utilizzano la fattoria urbana De Kemphaan per molte attività: dalle passeggiate alla coproduzione agricola, a conferenze, ad attività di inserimento lavorativo di categorie svantaggiate, a riunioni aziendali e a molto altro ancora.
La fattoria si mantiene con le attività che riesce a realizzare in accordo con la municipalità ed è senza dubbio anche uno degli spazi pubblici principali della città, nonostante sia a tutti gli effetti un’azienda a conduzione privata. De Kemphaan, inoltre, fa parte di un’associazione che, significativamente, si chiama Waardewerken (cioè “valori uniti insieme lavoro”), che unisce alcune decine di fattorie simili che sono diffuse in tutta l’Olanda e che porta avanti diverse attività di animazione culturale oltre che di sperimentazione di nuove modalità di produzione agricola.
La sfida maggiore per il futuro della città è rappresentata da Agromere, la nuova espansione della città che è stata progettata a partire dal 2005 attraverso un processo partecipativo che ha visto il coinvolgimento sia degli abitanti di Almere, sia di un gruppo di futuri residenti che avevano già prenotato alcune delle case del nuovo quartiere.
Agromere è progettata per 5.000 abitanti e si estende su una superficie di 250 ettari, di cui 70 destinati agli edifici e 180 all’agricoltura biologica, con quattro fattorie il cui il progetto edilizio è stato definito insieme a quello imprenditoriale, che comprende la vendita della produzione a gruppi organizzati di abitanti, la gestione di una serra-ristorante, una scuola professionale con spazi da coltivare per i ragazzi e un centro benessere. Ciascuna delle quattro fattorie è connessa sia ad una serie di servizi per il riuso e il riciclo totale di tutti i materiali e dei prodotti utilizzati dalle aziende agricole, sia alla catena delle altre attività di trasformazione connesse con i prodotti agricoli (caseificio, centro cottura, etc.).
Una parte dei 180 ettari coltivati costituisce l’ossatura principale degli spazi pubblici del quartiere che verranno mantenuti dalle stesse fattorie producendo anche essi cibo per la città. In realtà, a partire dall’esperienza pluridecennale della fattoria urbana De Kemphaan, le stesse fattorie sono pensate come degli spazi pubblici, dal momento che il nuovo quartiere non è stato progettato solo nei suoi aspetti fisici, ma come parte di una serie di attività di animazione sociale volte a rafforzare gli scambi comunitari: da quelli legati alla socialità di base alle attività economiche legate all’agricoltura.
Agromere è parte della strategia generale pensata per governare la città fino al 2030 secondo i principi cradle to cradle di Mc Donough: è anche per questo che ad Almere è stata insediata una nuova facoltà di scienze applicate (CAH Almere) che unisce diverse competenze in campo agronomico, economico, territoriale, ambientale e sociale. Questa facoltà, insieme all’università olandese di Wageningen -centro di eccellenza a livello mondiale per quanto riguarda l’agricoltura e lo sviluppo rurale- produce ricerche e progetti in modo specifico per Almere puntando, contemporaneamente, su una forte internazionalizzazione delle sue attività.
Come spiega Ben Scholten, assessore all’Economia, il sistema scolastico e universitario è parte integrante delle politiche urbane ed esso viene orientato e sostenuto insieme alle politiche economiche anche attraverso un’agenzia di sviluppo locale co-gestita dal Comune insieme ai principali attori del territorio.
L’agenzia di sviluppo, insieme alle università, ha dato origine ad una serie di studi tecnici, aziende ed artigiani -tutti insediati al Almere- che, oltre che a mirare a diminuire la dipendenza alimentare di Agromere dall’esterno, stanno progettando e realizzando il 100% di autosufficienza energetica dell’intero quartiere.
Prima di costruire il nuovo quartiere è già stato realizzato un impianto solare per garantire una base pari al 10% del fabbisogno energetico: il resto della fornitura verrà garantita da una combinazione di energia solare, microeolico e geotermico; così come il ciclo locale dei rifiuti fornisce la materia prima per il compostaggio organico per le fattorie urbane. Perfino il vetro viene raccolto e riciclato -verrebbe da dire “ovviamente”…- e diviso per colori: trasparente, verde e marrone.
Ben Scholten racconta che, sfruttando le esperienze fatte nella pianificazione di Agromere, nel 2030 il 20% del fabbisogno alimentare dell’intera città di Almere sarà garantito dall’agricoltura urbana e una parte consistente del resto della domanda verrà soddisfatta dalla produzione del polder circostante, organizzando appositamente il sistema produttivo e distributivo. Per raggiungere questo si sta pianificando la produzione agricola di circa 6.000 ettari in modo da ottenere un bilanciamento della produzione alimentare locale che garantisca alla città il 70% della produzione ortofrutticola, l’80% del pane e delle uova, il 30-50% del latte e dei derivati e il 4% della carne.

Fame di terra fertile
Almere è una città che ha poco meno di 200.000 abitanti. Sorge nel cuore dell’Olanda ed è uno dei quattro principali nuclei urbani dell’area metropolitana di Amsterdam. La capitale olandese si trova a circa 20 chilometri a Ovest; al di là del ponte che attraversa il canale che separa la terraferma dalla grande isola sulla quale si estende Almere. Quest’isola è stata creata nel 1968 prosciugando una parte dello Zuiderzee, quella sorta di mare interno che penetrava dal Mare del Nord fino nel cuore d’Olanda. Il mare ha rappresentato per secoli una minaccia per le popolazioni a causa delle inondazioni periodiche che colpivano le pianure olandesi, danneggiando sia le case, sia l’attività l’agricola, che è sempre stata difficile.
La fame di terra fertile è una costante nella storia dell’Olanda: gli olandesi, grandi viaggiatori, mercanti e finanzieri, sono stati per secoli una delle potenze colonizzatrici e, nonostante il loro dominio coloniale comprendesse terre in tutti i cinque continenti, hanno sempre sofferto della mancanza di terra nella loro patria. Dopo la grande inondazione del 1916, che allagò con l’acqua salata dello Zuiderzee ampie porzioni della piccola Olanda, il governo decise di costruire una diga lunga 30 chilometri per separare lo Zuiderzee dal mare aperto, in modo da proteggere le terre dagli attacchi del mare. A partire dal 1932, anno di conclusione dei lavori, lo Zuiderzee divenne un lago di acqua dolce che assunse il nome attuale di Ijsselmeer con una superficie grande circa come la Valle d’Aosta e una profondità massima di 5 metri.  Questo cambiamento radicale rese possibile il prosciugamento progressivo di ampie porzioni di terra, chiamate polder, dedicate in larga parte alla coltivazione, ma che ospitano anche numerose fattorie e diverse piccole cittadine. Dopo avere prosciugato il primo polder nel 1942 ed un secondo nel 1957, nel 1968 fu creato il Zuidelijk Flevoland, un nuovo polder destinato ad ospitare sia ulteriori aree agricole, sia un gruppo di cinque nuclei abitati programmati per fondersi in un’unica città dopo dieci anni dalla prima fondazione.
Il 1° dicembre 1975 il governo consegnò le chiavi delle prime abitazioni provvisorie del primo di questi nuclei ad un gruppo di tredici adulti e nove bambini, che furono i primi pionieri della nuova terra sottratta al mare. Nel giro di un anno furono pronte le abitazioni definitive e, dopo 5 anni, gli abitanti erano già più di 6mila. Dal 1980 ad oggi la città è cresciuta al ritmo di circa 30.000 abitanti ogni 5 anni e, attualmente, i cittadini di Almere sono 192.000.  Quando leggerete questo articolo gli abitanti saranno probabilmente un migliaio in più.
Per ora lo sviluppo è stato programmato per arrivare a 350.000 abitanti nel 2030 in modo da accogliere una quota consistente dei futuri abitanti dell’area metropolitana di Amsterdam, con un tasso di crescita tra i più alti in Europa.

Obiettivo -20%
Nel Columbuskwartier, un’altra recente espansione di Almere, 600 dei 2.000 nuovi edifici sono certificati dal Wwf come “Solar Homes”: cioè realizzati in legno con il marchio Fsc che certifica la gestione responsabile delle foreste, con muri ad alta capacità isolante e con pannelli fotovoltaici che ne garantiscono l’autosufficienza energetica quasi totale. Il quartiere comprende anche 100 case passive, cioè edifici che hanno un bilancio zero tra energia consumata ed energia prodotta, e questo grazie ad una combinazione tra isolamento, produzione di energia solare a geotermica e sistemi di scambio di calore tra esterno e interno.
Grazie anche a queste nuovi interventi sul patrimonio edilizio, nel 2010 Almere ha già raggiunto l’obiettivo di ridurre del 20% le proprie emissioni di CO2 che costituisce il traguardo che l’Ue ha fissato per il 2020.
L’agenzia di sviluppo facilita anche l’internazionalizzazione di ciò che viene inventato e sperimentato nel Columbuskwartier e, in generale, ad Almere, in un lavoro di rete che permette anche di portare nel contesto locale le eccellenze nazionali e mondiali facendo di questa specie di “città rurale” un riferimento importante sul piano operativo tra municipalità più innovative a livello globale.

Dalla culla alla culla
La vita di questa città e lo stesso programma di governo del municipio sono improntate ai principi di William McDonough, l’architetto americano che, insieme al chimico tedesco Michael Braungart, alla metà degli anni 90 ha coniato lo slogan from cradle to cradle -cioè “dalla culla alla culla”- approfondendo alcuni dei fondamenti dello sviluppo sostenibile. Secondo il principio from cradle to cradle la vita delle azioni umane non deve essere progettata semplicemente dalla culla alla tomba, cioè prevedendo e diminuendo tutti gli impatti di un un’azione o di un oggetto dal suo concepimento fino al termine della sua vita, ma bisogna farsi carico di “ridurre, riutilizzare, riciclare” il più possibile in modo che ogni cosa ritorni a nuova vita in un ciclo virtualmente infinito. Dalla culla alla culla, appunto.
Si tratta di un approccio radicale, dal momento che già la sola riduzione degli impatti ambientali e sociali durante tutto il ciclo di vita di un prodotto -dalla sua creazione al rifiuto- è un’operazione che non è ancora entrata nelle nostre abitudini medie e nelle azioni di governo a tutti i livelli.

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