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Diritti

Per il Ministro-Ammiraglio “indietro non si torna”

Lo stile di lavoro di Di Paola a capo del Dicastero di via XX Settembre è quello classico di un militare: difesa della propria posizione e dritto alla meta

La migliore metafora è davvero quella militare: il Ministro-Ammiraglio Di Paola in questi pochi mesi a capo del dicastero della Difesa si è comportato come un panzer dei migliori. Idee chiare e strada dritta per ottenerle, girando al largo dalle mine delle discussioni parlamentari e superando gli ostacoli dati anche dalla cruda realtà dei numeri. E questo vale in particolare per la questione del cacciabombardiere F-35, scelto come programma d’armamento intoccabile nonostante problemi di sviluppo e di costo.

Già da queste pagine avevamo segnalato una improvvisa folgorazione sulla via di Damasco per quanto riguarda i problemi della Difesa nostrana e della sua insostenibilità: «Oggi lo strumento militare, così come è strutturato, non è più sostenibile. Questa è la realtà. E la realtà, oggi, impone una revisione dello strumento per conservare ciò che più conta, la sua operatività e la sua efficacia» erano state le sue esatte parole. Ma da quell’annuncio pochi sono stati i dettagli su come proseguire nell’azione di risanamento e ripensamento, e meno che mai le aperture di confronto versi chi queste analisi su spese squilibrate e inefficienti le sta facendo da anni. Dopo questa impensata consapevolezza, ci si aspetterebbe una pausa soprattutto nei costosi acquisti per le armi. Eppure in tutti i passaggi televisivi e in svariate interviste giornalistiche il Ministro-Ammiraglio ha invece dimostrato che i ripensamenti coinvolgono solo i dettagli che non piacciono a lui, tralasciando i progetti "favoriti", che vengono salvati anche solo sulla base di telefonate amichevoli e senza alcun dato di supporto. Come ha notato la Rete Italiana per il Disarmo: il  capo della nostra Difesa continua nella sua opera di “informazione a senso unico” sulla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter per i cacciabombardieri F-35. Nei giorni scorsi si è riferito con una lettura univocamente positiva di una telefonata con il Segretario alla Difesa USA Leon Panetta proprio sul JSF. Secondo quanto riferito gli USA “confermerebbero come fondamentale il progetto” pensando ad una piena produzione dei caccia “a partire dal 2016-17”. Peccato però che il Ministro-Ammiraglio si sia dimenticato di aggiungere che queste date significano almeno 3 anni di ritardo sulla tabella di marcia prevista (che era stata già ridefinita in passato) con una conferma diretta dei gravi problemi che affliggono il programma, tanto è vero che gli USA hanno deciso ufficialmente di ridurre di quasi il 50% il numero di velivoli ordinati in queste fasi iniziali di produzione (dato anch’esso abilmente sottaciuto nelle dichiarazioni alla stampa).

Di fronte a questa ostinata volontà di acquisto dei caccia, si rivelano sotto una luce diversa anche alcune visite a Roma di importanti manager di Lockheed Martin: come quella del vice-presidente del programma F-35/JSF Tom Burbage, emblematica della spasmodica necessità dell’azienda di incassare l’OK dell’Italia all’acquisto di 131 aerei. Al di là del’Atlantico Lochkeed Martin è infatti sotto il fuoco di fila del Pentagono che ha predisposto un dossier impietoso sull’andamento dei lavori ed ha voluto rivedere tutte le modalità contrattuali, mentre la Casa Bianca che ha deciso di tagliare il budget militare dei prossimi 10 anni. Non per nulla i corpi militari statunitensi stanno aspettando ad ordinare i propri caccia F-35 cercando di far comprare dagli alleati i primi esemplari problematici. di paola

Il vice-presidente Burbage è invece venuto a dirci (come raccontano diverse agenzia) che il programma procede bene e che per l’Italia si tratterebbe di "un investimento relativamente basso ma che avrà un ritorno molto grande": peccato che a supporto di tale fantasiosa affermazione non abbia fornito alcun dato o evidenza documentale di contratti e di cifre di ritorno economico. Unico numero citato, quello delle aziende italiane coinvolte nella produzione: "oltre 20" sembra siano state le testuali parole. Peccato che la cifra non coincida con quanto dichiarato in sede parlamentare ufficiale dal Ministro-Ammiraglio Di Paola, che alla Camera in una risposta ad un’interrogazione ha parlato di 40 aziende italiane partecipanti a vario titolo nella filiera produttiva. Ennesima dimostrazione di poca chiarezza e trasparenza, probabilmente dettata da ritorni in realtà molto bassi e perciò imbarazzanti.

Ma è non solo nell’ambito dei programmi d’armamento che Di Paola ha dimostrato la sua tempra di comandante (che però mal si addice alla trasparenza e al controllo che un Governo dovrebbe al Parlamento). Suo è infatti il tentativo di modificare le regole di ingaggio dei nostri bombardieri dispiegati in Afganistan, con un rilasciamento dei cosiddetti "caveat" che permetterebbe ai piloti italiani di premere più facilmente il grilletto. Come rivelato da un articolo di Repubblica a firma di Giampaolo Cadalanu, nel corso di un’audizione alla Camera il Ministro-Ammiraglio ha "notificato" la decisione con una frase lapidaria: «Intendo usare ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione». Sempre nell’articolo si sottolinea come con questa decisione il ministro si sia preso sulle spalle una responsabilità pesante, scaricandone una fetta sui piloti degli Amx schierati a Herat. A loro toccherà decidere in frazioni di secondo se la riunione segnalata dall’ intelligence come "sospetta" sia in effetti un assembramento di Taliban che progettano un attentato, o non è invece un gruppo di famiglia riunito a celebrare un matrimonio. La decisione di Di Paola ha suscitato irritazione in Parlamento, soprattutto fra chi ricorda la vocazione difensiva dell’ Italia, sancita dalla Costituzione.

Ma questa decisione ha anche fatto alzare la voce al mondo del disarmo e della Pace. "E’ una vera follia – ha dichiarato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace perché i bombardamenti sono la principale causa di vittime civili. Chiediamo al Parlamento di pronunciarsi contro una strategia che oltretutto si è rivelata controproducente, perchè finisce per creare nei luoghi di operazione più nemici di quanti pretenda di eliminarne". Per Massimo Paolicelli, presidente dell’Associazione Obiettori Nonviolenti, si tratta di una scelta sbagliata: "Da una parte si sbandiera ai quattro venti la storia che la situazione sul sarebbe in fase di miglioramento e che presto le truppe italiane potranno lasciare l’Afghanistan. Dall’altra si dà il via libera ad una decisione di questo genere, che configura un salto di qualità pesantissimo e pericoloso".

Tutte rimostranze inutili: il Ministro "tecnico" (ma qui soprattutto "militare") intende continuare dritto per la propria strada… come un panzer.

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