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Opinioni

L’importanza delle regole

L’economia è politica, la risultante di rapporti di forza che -oggi- premiano cinismo e particolarismo. Per questo al fine di rendere più equo il sistema economico è necessario agire sul terreno della politica

Tratto da Altreconomia 143 — Novembre 2012

L’economia è politica. Al di là dei suoi automatismi e delle sue presunte leggi di natura, essa è la risultante, oltre che di una mentalità diffusa, di rapporti di forza che premiano le oligarchie dominanti. Per cambiare l’economia basterebbe cambiare le regole del suo gioco, introducendo un sistema fiscale realmente proporzionale, vincolando l’agire economico alla salvaguardia del bene comune, tutelando il lavoro su scala globale e sviluppando tutti i criteri della democrazia vera: quella che attua metodicamente le condizioni per la conferma sociale e pubblica del valore della dignità umana. Eppure per cambiare le regole è indispensabile lo strumento della politica. Proprio quello che oggi è inservibile perché è stato manomesso.
Concepita secondo il criterio assoluto della conquista e del mantenimento del potere, la politica ha finito per generare conflitti infiniti e per perpetuare il dominio delle oligarchie. L’esito di questo processo di degenerazione sta nella particolarizzazione estrema: la politica si è ridotta a un mestiere redditizio che consente privilegi di ogni genere, rendite a vita e sistematiche occasioni di appropriazione indebita del denaro pubblico. La diagnosi peggiora se si considera la nostra specifica crisi nazionale. L’Italia è la terra dove questa implosione della democrazia si può constatare a occhio nudo. Da molti anni la versione più diffusa della cultura politica italiana non è certo quella di Sturzo, di Gobetti, di Gramsci, di Matteotti, oppure di don Milani o di Danilo Dolci, né quella dei padri della Costituzione; non è quella di Pier Paolo Pasolini e nemmeno quella di Falcone e di Borsellino. La mentalità dominante è imbevuta di cinismo, di particolarismo e di quella forma di cattolicesimo che è appassionata al potere. Così oggi gran parte del popolo italiano, qualunque iniquità si trovi a subire, rimane paralizzata, assente, come se si potesse sperare soltanto di trovare un rimedio privato ai mali comuni.
Al contrario, per i problemi collettivi esistono solo soluzioni condivise. Perciò è urgente ricostruire lo strumento della politica, senza il quale non solo la società va in rovina, ma si apre la via al ritorno del totalitarismo in qualche sua inedita variante. Solo che non si può pensare al modello della politica di un tempo. Prendiamo la questione del soggetto principale della democrazia rappresentativa, il partito. Questa istituzione si è ormai mostrata inadeguata alle esigenze della rigenerazione della democrazia, ma non abbiamo uno strumento alternativo e migliore. Deve essere ancora concepito. I limiti del partito nella sua forma tradizionale sono evidenti: è fatto più per conquistare e per gestire il potere in modo autoreferenziale che non per servire il bene comune; lasciandosi inglobare dalla logica della conquista del potere, il partito diventa incapace di rappresentare un’autentica visione della società, la speranza condivisa, gli ideali, i valori della dignità e della democrazia; esso per principio è versato più per il conflitto che per la cooperazione; si presta al dominio delle oligarchie interne e si chiude alla partecipazione; alimenta quella selezione dei peggiori che dà spazio alle insane ambizioni di chi intende la politica come mestiere e come mestiere redditizio; instaura gerarchie interne per le quali i giovani, le donne, i portatori di ideali e di idee magnanime (nel preciso significato per cui Gandhi fu detto Mahatma, è cioè “Grande anima”) sono subito tagliati fuori.
L’alternativa a tutto questo non è il governo dei tecnici, né tanto meno l’affidarsi a qualche “uomo della provvidenza”. Non basta nemmeno l’azione dei movimenti, per quanto preziosa possa essere nel tessere una buona mediazione tra la vita quotidiana delle persone e la partecipazione politica. Deve nascere un nuovo pensiero. Credo che verrà non tanto dalla mente di qualche singolo illuminato, quanto dalla maturazione delle esperienze di democrazia partecipata e dal dialogo tra quanti sono disposti a elaborare creativamente soluzioni inedite. Soluzioni che oggi restano impensate e che tuttavia segneranno una svolta di civiltà nel modo in cui l’umanità organizza la società. In ogni caso, senza questo cambiamento radicale la politica non sa più funzionare, e se non funziona non si può costruire quel quadro internazionale di regole democratiche che ci permetterà di uscire dalla trappola chiamata capitalismo globale.

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