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Altre Economie

La scommessa della fattoria

In provincia di Varese, la famiglia Ossuzio si rivolge a parenti, amici e gasisti, dopo il no delle banche, per la sua nuova stalla

Tratto da Altreconomia 144 — Dicembre 2012

Lino ha poco più di 20 anni quando, nel 1977, parte per l’Ecuador per lavorare accanto ai contadini e nella comunità di Esmeralda. Lo racconta mentre passeggiamo nell’aia, sotto un sole limpido e autunnale.
Lascia l’Italia (anche) perché è un obiettore di coscienza e si rifiuta di fare il servizio militare. Ne ha 33 quando, con la compagna di vita Antonella, arriva a Castello Cabiaglio, sul confine settentrionale del Parco Campo dei Fiori, appena sopra il lago di Varese.
Sceglie la Fattoria Rancina, ed è lì, è qui, in quest’aia, che da allora chiunque viene accolto da una folta barba, bianca come i lunghi capelli che ingannano rispetto al fisico giovanile e agli occhi azzurri di Lino Ossuzio, che di anni oggi ne ha 56 e alla Rancina vive e lavora con tutta la sua famiglia.
In questo piccolo angolo di paradiso agreste, Lino, Antonella e i loro quattro figli lavorano la terra, allevano animali e producono formaggi. “Vivono del loro” si direbbe da queste parti, in un lembo di terra di tre ettari bagnato da un fiume e circondato da declivi.
Formaggi e carni, rigorosamente ottenuti senza l’uso della chimica (“ma non vogliamo la certificazione biologica, che è solo burocrazia”) vengono venduti ai privati che passano dalla Fattoria e ai gruppi di acquisto solidali della zona. Si viene facilmente conquistati dalle forme ottenute dalla miscela dei tre tipi di latte (vacca, capra e pecora) i cui nomi sono semplicemente “Va.Ca” o “Va.Ca.Pe” (che però in dialetto vogliono anche dire “vai a casa” e “vai a casa a piedi”).
Nel gusto di questi prodotti c’è il profumo della storia di questa fattoria, che rappresenta un bell’esempio di quel “capitale delle relazioni” essenza delle economie solidali.
Nel 1998 la famiglia Ossuzio acquista la fattoria, e coltiva oltre alla terra anche il sogno di una grande stalla con fienile e caseificio. Il sogno si scontra con le fatiche economiche e con le drammatiche prove che la famiglia deve fronteggiare. Prove che si comprendono anche guardando la casa, tutta su un piano e accessibile ai disabili, che si sono dovuti costruire, trasferendosi dalla cascina a due piani, dove ora vive la figlia Chiara con il marito e due figli e che ospita oggi la stalla e il caseificio.
Nel 2010 partecipano a un bando dell’Unione europea, derivante dal fondo per il piano di sviluppo rurale. E vincono con un progetto per la nuova stalla, del valore di quasi 750mila euro.
L’Ue verserà però solo la metà dell’ammontare: al resto deve pensare la famiglia, rivolgendosi alle banche che, manco a dirlo, non sono disposte a concedere mutui per un progetto così ardito.
Lino, Antonella e i loro figli non si danno per vinti, anche perché accanto a sé trovano l’amicizia e l’aiuto di chi negli anni ha conosciuto la loro esperienza. Sono le famiglie dei Gas, sono parenti, sono amici. Tra loro Domenico Monetti, Fausto Landoni e don Sergio Pulselli. Insieme mettono in piedi una raccolta fondi necessaria a convincere la Banca popolare di Bergamo a sostenere il progetto. Nel febbraio 2012 lanciano l’appello, e chiedono a chiunque di contribuire con quel che può. Una finanza “etica”, una raccolta popolare, che la famiglia immagina con tre modalità di aiuto. Nel primo caso si può concedere alla Rancina un prestito, della durata di tre anni, infruttifero, con la possibilità di proroga. Nel secondo caso, ci si può impegnare al pre acquisto di prodotti o servizi della cascina, da ricevere 24 mesi dopo la sottoscrizione. Infine, una donazione.
In due mesi la famiglia raccoglie 100mila euro. Gli amici organizzano gite per portare sempre più persone a conoscere la Rancina, a farsi un bagno nel torrente, a far giocare i bambini, a conoscere gli animali, ad assaggiare i formaggi.
A luglio, la cifra balza a quasi 300mila. E i lavori iniziano. Chi oggi fa un salto a Castello Cabiaglio, vedrà la stalla già in piedi. Si tratta di un prefabbricato della WolfHaus di Bolzano, una struttura efficiente e sostenibile. Il tetto è montato, Lino spiega quel che sarà: “Contiamo di arrivare a 120 pecore, 70 capre e 15 vacche. Le vacche saranno là in fondo. Qui, le ‘catture’ dove mungere mentre gli animali mangiano”.
Il fienile è già pieno. “La stalla servirà per l’inverno. Per il resto dell’anno, gli animali pascoleranno liberi, come succede oggi”. Nel frattempo, la cifra raccolta ha raggiunto i 350mila euro. “Alla faccia delle banche”, dice Fausto. Entro il 20 marzo, la nuova struttura sarà inaugurata, prevede Lino. Che immagina una festa, nella zona della fattoria dove già oggi molti gruppi, dagli scout alle parrocchie, sono ospitate: la Rancina chiede solo la copertura delle spese vive (“e magari che ci invitino alla festa…” dice Lino).
Il senso della storia degli Ossuzio sta tutto nelle parole di don Sergio, sacerdote a Corgeno di Vergiate (a pochi chilometri dalla fattoria), che dice: “È una scelta di libertà quella di Lino e dei suoi, che vogliono essere pienamente uomini. La sua è una famiglia i cui membri si prendono cura di tutto e di tutti, che fanno le cose perché è giusto farle, che producono soprattutto per soddisfare bisogni, non per fare denaro.
Con la loro scelta ci offrono un esempio di vita, che anche noi potremmo e dovremmo cercare di imitare, nella convinzione che solo se ci limitiamo ad usufruire dell’utile e del necessario non togliamo il pane a chi ne ha bisogno. Qui si è verificato un autentico miracolo. Come la condivisione evangelica dei pani e dei pesci è stata capace di sfamare una moltitudine, così il contributo di tutti ha risolto il problema della fattoria e ci ha indicato che la strada per uscire dalla crisi passa per l’abbandono dei nostri egoismi”.
Cinquantacinque soggetti, finora, hanno contribuito al progetto della Rancina. Lino conta a regime di arrivare -nel 2015- a un fatturato di 70mila euro l’anno, dalla vendita dei formaggi (per il 70%) e della carne. “In futuro magari anche ai ristoranti”.
Non sarà facile sobbarcarsi la sfida che questo investimento significa per la famiglia Ossuzio. I soldi raccolti sono comunque un prestito -anche se molti non saranno richiesti- e il finanziamento pubblico potrebbe tardare molto. Le banca ovviamente pretenderà il versamento delle rate del mutuo. “Occorrerà un piano economico finanziario preciso”, dice Domenico, e tanta fortuna.
Ma da qui, da questa fattoria immersa nella natura, le leggi dell’economia “normale” sembrano distanti. Almeno per oggi, che alla Rancina si festeggia Vincenzo, operaio del cantiere della stalla che compie 60 anni. Sono arrivati anche i suoi figli, e la mamma di Lino sta preparando della pasta con farina di castagne per tutti i lavoratori.

Chi vuole sostenere la fattoria Rancina, o anche solo andarli a trovare per assaggiare i formaggi (costano 13/14 euro al chilo), trova informazioni scrivendo a fattoria.rancina@gmail.com

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