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L’Aquila, la ricostruzione civile di una città

Reportage dal capoluogo abruzzese, dove il 5 maggio un migliaio di storici dell’arte si sono dati appuntamento per denunciare i ritardi nella ricostruzione del centro storico. Convocati da Tomaso Montanari e Salvatore Settis, insieme a Italia Nostra, hanno attraversato le vie abbandonate dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Nel pomeriggio, convegno nella chiesta di San Giuseppe Artigiano. Guarda l’album fotografico su Picasa

Sotto i mille ombrelli che domenica 5 maggio hanno affollato le strade deserte del centro storico dell’Aquila c’erano mille storici dell’arte. Professori, dirigenti e funzionari del ministero dei Beni culturali e moltissimi studenti hanno camminato per due ore nel cuore della città abruzzese, per verificare lo stato d’abbandono di un immenso patrimonio italiano, di una delle più belle città d’arte del Paese.

A oltre 4 anni dal sisma, L’Aquila è “una tragedia italiana, e non un problema locale” ha spiegato Tomaso Montanari, ideatore della manifestazione “L’Aquila 5 maggio | Storici dell’arte per la ricostruzione civile”. L’intervento di Montanari ha aperto, nel pomeriggio, il dibattito sulla città che si è tenuto nella chiesa di San Giuseppe Artigiano, la prima riaperte dopo il sisma: “A mio avviso -ha spiegato il giovane professore dell’Università di Napoli, allievo di Salvatore Settis- L’Aquila rappresenta un punto nodale per un generazione, al pari del bombardamento di Genova nel 1944, o dell’alluvione di Firenze nel 1966. Così, è giunto il momento di farci un’esame di coscienza, come storici dell’arte, come lo fecero i nostri colleghi colpevoli di non aver protetto abbastanza, o di non essere stati abbastanza popolari, nel difendere Genova dalle bombe. Oggi è impossibile -ha continuato Montanari- non capire che l’urgenza culturale e civile è quella di ‘conservare l’esistente’, e non quello di estrarre i singoli capolavori dai contesti, inserendoli in ‘spettacoli’ e ‘mostre’ itineranti”.
La riflessione di Montanari, sviluppata anche nel libro “Le pietre e il popolo”, risiede nel ruolo della città, “nella forma della polis che è forma della politica: lo Stato, l’etica, la civiltà si danno nella forma dei luoghi pubblici”. Montanari ha ricordato la storia dell’Aquila, fondata come spazio comune che non fosse mercato ma città, ambito in cui gli spazi pubblici sono venuti prima di quelli privati: “Noi non vogliamo essere ricordati come la generazione che lascerà l’Aquila senza cittadini.
Il problema non è il terremoto, ma la scelta di chi ha costruito le New Town -ha spiegato, allargando poi la riflessione a tutto il Paese-: se i cittadini lasciano le città d’arte, queste divetano sempre più fondali per i turisti. Così non sono più città, ma solo arte. Cadaveri ormai muti, presi in ostaggio dal mercato. Ma noi storici dell’arte studiamo cosa vive, non cose morte”.

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Montanari ha concluso il suo intervento dando lettura all’appello (lo pubblichiamo in allegato) condiviso dagli Storici dell’arte convenuti: “Non c’è più tempo: il momento di restituire l’Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani e alla nazione italiana è ora”.

Dopo di lui ha preso parola il sindaco della città, Massimo Cialente, che il giorno dopo (6 maggio, ndr) ha rimesso il mandato, spogliandosi simbolicamente della fascia tricolore: “Se prima delle ‘guerra’ mi avessero chiesto che cosa rappresenta per me questa città, non avrei saputo rispondere -ha detto, con riferimento al terremoto del 6 aprile 2009-. Oggi sì -ha aggiunto-: la propria città è la propria identità. Abbiamo perso i nostri riferimenti”. È giù un elenco: 40mila persone (ancora) senza casa. 12.500 in autonoma sistemazione, 300 persone ancora ospitate presso la caserma della Guardia di Finanza o negli  alberghi. E, infine, 18mila persone che vivono tra New Town e Moduli abitati provvisori.
La ricostruzione, che secondo Cialente il governo Berlusconi non ha mai desiderato, serve a restituire all’Italia “l’ultima testimonianza di una città di fondazione, che vive ancora come tale: figlia di 64 centri abitati, ognuno con la propria storia. Il centro storico era il luogo dove tutto il comprensorio si identificava”. Solo una cosa, andava fatta: era l’istituzione di una tassa di scopo “che -secondo Cialente- gli italiani avrebbero compreso. Ma Berlusconi mi ripeteva sempre: ‘Sindaco, non metterò mai la mani in tasca degli italiani’. Il risultato di tutto questo oggi sono 2mila progetti fermi da ottobre, e un finanziamento di 2,2 miliardi di euro il cui trasferimento è stato deciso a dicembre (2012), ma che ancora non arrivano.
Noi abbiamo stilato un cronoprogramma -conclude Cialente-: siamo in condizione, in cinque anni, di ricostruire L’Aquila”.

Fabrizio Magani, Direttore regionale dei Beni culturali dell’Abruzzo si è fatto i conti in tasca di fronte a tutti: “Abbiamo a disposizione 155 milioni di euro. La metà si base sulla Delibera CIPE 135, ovvero su un programma novennale di interventi. Al momento, sono 8 gli interventi completati. Nove i cantieri in corso. 23 sono presto pronti a partire. 25 sono in corso di progettazione, ed entro l’estate dovremmo essere in grado di procedere alle gare d’appalto. 65 progetti, per il 2013, che riguardano architetture, monumenti ed opere d’interesse storico artistico. Tutto questo è in corso dalla fine della gestione commissariale, cioè da aprile 2012”.

Prima dell’intervento finale del professor Salvatore Settis, ha preso parola il presidente di Italia Nostra, Marco Parini: “Ministro -ha detto rivolgendo al titolare del ministero della Cultura, Massimo Bray, che per tutto il giorno ha seguito le iniziative-, lei è responsabile di un dicastero che può avere un potenziale enorme, in quanto alla conservazione e al restauro, e offrire un lavoro per tutti coloro che lo cercano in queste discipline. Chiediamo che questo governo investa, non relegando a un bilancio risibile il ministero che forse più di ogni altri rappresenta questo Paese”.
Passando a parlare dell’Aquila, Parini ha fatto riferimento al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economia: “È lì che vengono decise le grandi opere infrastrutturali e d’interesse pubblico, ed io mi chiedo se rispetto a qualche chilometro di Alta velocità, o a risorse per realizzare ‘studi di fattibilità’ di un ponte tra un lato e l’altro di uno stretto, non sia più importante che far rinascere una città. Quale lavoro migliore, da offrire ai giovani, che far rinascere una città”.

L’intervento di Salvatore Settis è durato quasi 40 minuti (e potete vederlo qui). “L’Aquila oggi è la capitale della storia dell’arte in Italia -ha detto l’ex presidente della Scuola normale superiore di Pisa-, ma è anche simbolo della rovina morale che minaccia la nostra società. E la pessima gestione del dopo terremoto è ancor peggio del terremoto”.
Settis ha citato poi l’onorevole Giorgio Stracquadanio, che il 7 agosto 2010, alla Camera aveva dichiarato: “L’Aquila era un città che stava morendo indipendente dal terremoto; il tertemoto ne ha certificato la morte civile. Il governo (Berlusconi, ndr) ne voleva fare un Harvard italiana, ma ci hanno detto che stavamo cementificando”.

“Qual è il destino del centro storico? È il serbatoio di energie e memorie, il luogo deputato della cittadinanza, o una palla al piede. Qual è il rapporto tra città grandi e città piccole? Le piccole sono morte? Qual è l’equilibrio tra centri storici e il paesaggio che li circonda?” si è chiesto il professore, davanti a una platea rapita. “Non vogliamo certo insegnare ad altri i loro mestieri, ma in quanto storici (dell’arte) rivendiamo uno sguardo di lungo periodo: nelle Chiese, nei palazzi, nelle case, nelle strade, non c’è polvere e né un archivio di eventi: c’è la vita vibrante della nostra storia, sono il sangue e l’anima di un’identità collettiva”.

“La città nasce come una coabitazione di cittadini. Se riflettiamo, come abbiamo fatto, a questa origine dell’Aquila, quanto vi è accaduto dopo il terremoto, con le New Town, è un’offesa e una ferita ancor più grave. Perché contiene in sé l’ignoranza e il disprezzo della storia di questa città -ha tuonato Settis-. Si è scelto di disperdere cittadini che oltre 700 anni fa avevano scelto questo luogo. Ma la deportazione, e l’esilio, sono il destino miserabile dei popoli sconfitti, obbligati a lasciare la propria città. Qual è il nemico? Chi ha deportato gli aquilani? Il nemico è stato il governo in carica al momento del terremoto”.

Prima di chiudere il suo intervento, lasciando il palco con una copia della Costituzione tra le mani, Salvatore Settis l’ha citata: “Ci sono una serie di sentenza della Corte Costituzionale, che si sono susseguite dal 1986, e che oggi riconoscono che la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazionale ‘non può essere subordinata a nessun altro valore, e nemmeno di quelli economici’. I ministri che giurano sulla Costituzione, dovrebbero ricordarselo.
La cultura viene prima dell’economia. I diritti vengono prima dell’economia. Questo vollero i Costituenti”.

Poi arrivano gli studenti, che invadono la navata portando in alto i loro cartelli: "Non c’è più tempo per aspettare domani".

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