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Le impronte della discriminazione

A cinque anni dall’inizio dell’"emergenza nomadi", il Tribunale di Roma (seconda sezione civile) ha condannato la Presidenza del Consiglio per aver discriminato un cittadino italiano. Colpevole di appartenere all’etnia Rom, Elviz Salkanovic fu condotto in Questura e schedato. Con la carta di identità in mano

La Presidenza del Consiglio dei ministri ha discriminato un cittadino italiano per la sua etnia. E non l’ha fatto a cavallo delle due guerre mondiali, ma tre anni fa.

A ricostruire questa triste pagina repubblicana ci ha pensato lo scorso 24 maggio il Tribunale di Roma (seconda sezione civile), nella persona del giudice Federico Salvati, disponendo il risarcimento a favore di Elviz Salkanovic, cittadino italiano di etnia Rom. Questi è stato vittima degli effetti dell’ordinanza firmata nel maggio 2008 dell’allora capo del Governo Silvio Berlusconi, contenente "disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio della Regione Lazio". Non lontani i giorni in cui, stando all’ordinanza governativa, era dichiarata l’emergenza nei "campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi", fatta di identificazione, impronte e fotografie.

Tra quei campi sgomberati, anche il "Casilino 900" di Roma. Lì, il 3 gennaio 2010 Salkanovic veniva prelevato, portato all’ufficio immigrazione della Questura di Roma e "sottoposto a rilievi dattiloscopici e fotografici", senza che l’interessato avesse sulle spalle alcun provvedimento amministrativo o giudiziario. Anzi: aveva con sé la carta di identità. Chiamati in causa -dall’interessato, dall’"Associazione 21 luglio", l’"Associazione studi giuridici  sull’immigrazione" e dalla "Open society justice iniziative"- la Presidenza del Consiglio, la Prefettura di Roma e il ministero dell’Interno hanno ricondotto l’accaduto a mera prassi, dipendendo da "provvedimenti emergenziali" volti a "superare una situazione di pericolo". Non solo non hanno chiesto scusa, ma hanno persino difeso la scelta delle autorità di conservare i dati.

Il Tribunale di Roma li ha ritenuti responsabili di aver inflitto a Salkanovic una violazione della sua dignità, "invadendo" la sua sfera personale e creato un "clima ostile", alimentando ad arte una non ben precisata "situazione di allarme sociale". 8mila euro l’ammontare del danno non patrimoniale da risarcire, compresa ovviamente la distruzione di tutti i documenti contenenti i dati sensibili ricavati dall’identificazione avvenuta nel gennaio 2010.  Il caso è chiuso, come chiusa è la presunta emergenza che ha generato numerosi "casi Salkanovic".

Dopo il primo stop del Consiglio di Stato -perché "non si evincono precisi dati fattuali che autorizzino ad affermare l’esistenza di un rapporto eziologico fra l’insistenza sul territorio di insediamenti nomadi e una straordinaria e eccezionale turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate", così recitava la sentenza 6050 del 2011- è toccato alla Corte di Cassazione recitare, nell’aprile scorso, il definitivo "addio" all’emergenza dichiarata nel 2008. In attesa che il nuovo Governo indichi, se l’ha presente, una strategia diversa.

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