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Economia

Conflitto d’interessi per l’euro

Per "affrontare" il problema del debito pubblico il governo Letta ha scelto la strada di ulteriori privatizzazioni, dalle Poste a Fincantieri, da Snam e Terna. Ma il problema, forse, è altrove: “La Banca centrale europea non cerca di salvare i Paesi indebitati, ma la moneta unica e le banche”. E così, secondo Francesco Gesualdi, perpetua la crisi. Un’intervista in attesa del nuovo libro in uscita per Altreconomia edizioni —

Tratto da Altreconomia 155 — Dicembre 2013

“Il vero problema non è il debito pubblico, ma gli interessi. Sono quelli a impoverire l’Italia”. Francesco Gesualdi non ha bisogno di molte presentazioni. Anima del Centro nuovo modello di sviluppo (www.cnms.it), ha speso una vita col doppio intento di lottare per la giustizia economica nel Nord e nel Sud del mondo. Oggi la sua attenzione è sul debito pubblico, cui ha dedicato il suo ultimo saggio (vedi box).

Perché non dobbiamo abbassare l’attenzione sul debito pubblico?
Prima di tutto perché da quando la nostra priorità è diventata la riduzione del debito si aumentano le tasse e si riducono i servizi. Aumentano le disuguaglianze e aumenta la disoccupazione.
Ma il debito pubblico italiano, che oggi ammonta a oltre 2mila miliardi di euro, è composto per il 90% da interessi che non siamo stati in grado di pagare. Tecnicamente è debito da anatocismo, un meccanismo in base al quale gli interessi non pagati diventano nuovo debito, facendo crescere il capitale su cui si  ricalcolano gli interessi. Solo fino agli anni 80 il debito pubblico è cresciuto anche per un eccesso di spesa, ma dal ‘92 registriamo solo risparmi. In altre parole lo Stato spende per servizi e investimenti meno di quel che raccoglie, dirottando i risparmi agli interessi, ma senza farcela. Il tutto a vantaggio, per il 40%, di soggetti esteri, fra i quali la Banca centrale europea, a causa dei depositi effettuati da banche commerciali che usano i titoli di Stato come forma di garanzia per ottenere prestiti. La Bce incassa dallo stato italiano circa 4 miliardi di euro all’anno, il 5% del totale degli interessi. Il mito secondo il quale il debito pubblico è detenuto dalle famiglie italiane è un retaggio del passato. Oggi non arriva al 10%.

Perché non siamo stati in grado di ripagare gli interessi?
L’incapacità di ripagare la massa di interessi ha varie origini. Da una parte ci sono certamente i tassi che sono stati applicati: in alcuni periodi sono stati quasi da usura, attorno al 25%. Solo dal 1996 siamo scesi sotto il 10%, complice un’inflazione molto alta. Ma nel 1992 erano ancora al 18%. Il risultato è che in una decina d’anni, tra il 1981 e il ‘92, siamo passati da un debito equivalente a 114 miliardi di euro a uno di 850 miliardi. Tuttavia, la quota-parte riguardante eccessi di spesa non ha mai superato i 150 miliardi di euro. Nonostante le politiche di austerità, avviate nel 1992, non abbiamo tenuto il passo con gli interessi, e ciò è imputabile a chi ha avuto responsabilità di regolare le entrate: non è un mistero che siano state perseguite politiche fiscali che hanno avvantaggiato le classi più ricche (come la riduzione da 32 a 5 scaglioni dell’Irpef).

Come si legano debito ed euro?
Dobbiamo partire dalla sovranità, che oggi è trasferita dai cittadini ai “mercati”: se questi hanno tutto il potere, è perché qualcuno gliel’ha concesso. Garantendo libera circolazione di capitali, deregolamentazione e la possibilità di strutturare qualsiasi tipo di prodotto finanziario, di lucrare su tutto, anche sulla moneta. Esiste un intreccio tra debito degli Stati sovrani e difesa dell’euro: la Bce si occupa di debiti pubblici solo per le ripercussioni che questi hanno sull’euro, e non può prestare un centesimo alle aziende e alle famiglie, né può sostenere gli Stati. Il compito che le è stato attribuito è il contenimento dell’inflazione, e di conseguenza la difesa del valore dell’euro. Il debito ha effetto sull’euro perché il suo valore è determinato dai mercati, che acquistano euro  in base alla solidità dell’economia europea, determinata anche dalla capacità degli Stati di pagare i propri debiti.  Se i titoli pubblici sono in caduta libera rischia di cadere anche l’euro, quindi la Bce deve intervenire per evitare la svalutazione dei titoli di Stato. E lo fa indirettamente, producendo moneta fresca, che presta alle banche dicendo loro di comprare debito pubblico. Vuol dire che la grande macchinazione è la salvezza dell’euro, non degli Stati. E la salvezza si garantisce imponendo regole di austerità.

Tu rivendichi il “diritto al ripudio” del debito.
Abbiamo il diritto di ripudiare il debito “odioso”, quello cioè frutto di speculazione e lucro, che sappiamo essere predominante se analizziamo i dati. La priorità di uno Stato non è pagare i creditori, ma tutelare i diritti dei cittadini. Abbiamo sottoscritto il fiscal compact che oltre a obbligarci al pareggio di bilancio c’impegna a ripagare in 20 anni circa il 50% del nostro debito. E per legarci mani e piedi alle regole europee il Parlamento italiano ha inserito l’obbligo di pareggio di bilancio in Costituzione. La conclusione è che a partire dal 2014-2015 dovremo dedicare al debito pubblico 150 miliardi di euro all’anno. Per di più la Finanziaria, oggi ribattezzata Legge di stabilità, deve avere l’approvazione preventiva di Bruxelles.

Altro diritto: quello all’“autodifesa”.
Dobbiamo bloccare la speculazione. Fino a ieri la potestà legislativa apparteneva ai parlamenti, e il mercato era subalterno. Oggi è il contrario. Credo che i mercati siano entità da regolamentare, l’interesse collettivo deve essere preminente rispetto a quello privato. Molti obiettano: se facciamo scelte sgradite ai mercati saremo sottoposti a ricatti del tipo “Non paghi il debito, non ne acquisto più”. Allora la domanda è: perché ogni anno emettiamo Buoni del tesoro pluriennali? Perché dobbiamo pagare interessi e rifinanziare il capitale in scadenza. Se -ricattandomi- dichiari di non essere più disponibile a darmi altri soldi, vorrà dire che non garantirò nemmeno il capitale in scadenza. Se la mettiamo sul piano della guerra, allora vediamo chi è più forte. E ricordiamoci che di solito in posizione di debolezza c’è il creditore.
Congeliamo: sospendiamo i pagamenti. Sarebbe una scelta attuabile, specie se venisse fatta insieme ad altri Paesi in difficoltà, compresi Francia e Belgio. La quantità di Paesi che avrebbero interesse a mettere in riga i mercati è significativa. Perché non lo facciamo? Credo sia un problema culturale e sociologico: una delle strategie adottate è l’intimidazione. Ci prospettano scenari tenebrosi se non paghiamo, ma con le loro regole non è andata meglio. La catastrofe in atto è usata come pretesto per denigrare la “decrescita”, che però non ha niente a che vedere con le crisi capitalistiche. Queste sono incidenti traumatici. La decrescita è un progetto di conversione assistita. 

Che cosa intendi per “sovranità monetaria”?
Il bilancio di uno Stato non può essere gestito con la logica del ragioniere. Lo Stato  non è un’azienda che tiene conto solo di costi e ricavi. Gli elementi che deve considerare sono molto più ampi, talvolta in contrapposizione fra loro. Deve gestire servizi, ma anche assicurare la stabilità del sistema. Deve tenere a bada i prezzi, ma anche stimolare la piena occupazione. Deve contenere l’uso delle risorse naturali, ma anche garantire una vita dignitosa per tutti. Deve ottenere introiti, ma anche tenere conto dell’equità. In sintesi, deve occuparsi della politica, e in questa prospettiva il debito non è necessariamente espressione di cattiva gestione, ma di servizio al Paese.
A causa di un processo che parte nel 1981, moneta e credito non sono più bene comune, ma strumento di lucro al servizio del sistema bancario.  L’euro non è gestito in una logica di servizio pubblico, ma di arricchimento privato. Volessimo usare una metafora potremmo dire che le banche prestano carta e ottengono indietro ricchezza reale. Un meccanismo ingegnoso di parassitismo avallato dal sistema politico. Per rimettere le cose a posto dobbiamo recuperare vera sovranità monetaria, che significa governo della moneta in un’ottica di promozione economica e sociale. Un obiettivo che si raggiunge attribuendo alla Bce due nuovi compiti. Il primo: immettere gratuitamente nel sistema tutta la liquidità necessaria per il buon funzionamento dell’economia. La seconda: fornire ai governi tutta la moneta che serve per raggiungere la piena occupazione e promuovere i servizi fondamentali. —
 

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