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La norma sballata

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi. Rimossi gli articoli riformati nel 2006 in senso punitivo. Otto anni dopo la sua approvazione, la norma lascia dietro di sé i propri fallimenti: esplosi i procedimenti penali, crollati i programmi terapeutici. Luigi Manconi: "ora si rivaluti la mia proposta per la depenalizzazione"

Un appello diffuso a pochi giorni dall’udienza presso la Corte costituzionale l’aveva definita “certamente incostituzionale”. Da ieri, mercoledì 12 febbraio, l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi (legge 21 febbraio 2006, n. 49) è cristallizzata. La Consulta, come si legge nel comunicato stampa diffuso a poche ore dalla decisione, ha disposto la rimozione delle “modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti)”. Una stretta punitiva che fu imposta per decreto -specie nella successiva conversione- dal governo Berlusconi, e dai due esponenti politici che ne diedero il nome: Carlo Giovanardi e Gianfranco Fini.
 
L’obiettivo dichiarato della legge era salvaguardare quelle che ancora oggi vengono definite impropriamente “vittime della droga”: Stefano Cucchi, ad esempio. Nei fatti, gli ha scatenato contro un’autentica guerra. Per comprenderlo, basta consultare i dati più recenti sugli ingressi in carcere per violazione dell’articolo 73 -oggi rimosso, lo stesso per cui fu tratto in arresto Cucchi il 15 ottobre 2009- del Dpr 309/90. Secondo l’Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato, sezione statistica del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), nel 2012 si è registrato il picco percentuale (32,45 persone su 100 di quelle entrate in carcere). Dalla sua approvazione, la legge Fini-Giovanardi ha fatto esplodere i procedimenti penali a carico di persone ritenute responsabili di aver violato gli articoli 73 e 74 del Dpr 309/90. Dai 185mila del 2005 agli 224mila del 2011 (dati del ministero della Giustizia).
 
Un sostanziale fallimento, come i programmi terapeutici che avrebbero dovuto strappare i “deviati” dagli “avvelenati frutti finali” della droga, per citare Giovanardi. Le richieste di programma terapeutico sono crollate in sette anni del 95%. Dalle 6.713 censite dal ministero dell’Interno nel 2005, alle 340 del 2012.
 
Luigi Manconi, che di questa legge è stato tra i primi e più strenui oppositori, commenta così ad Altreconomia i risvolti pratici della decisione della Consulta. 
 
Qual è il significato del dispositivo della Corte costituzionale di ieri per le persone direttamente interessate dalle norme incostituzionali?
 
Attualmente non può dirlo nessuno, perché le persone che giungono in carcere lo fanno “semplicemente” per violazione dell’articolo 73 e dunque la distinzione tra sostanze leggere e pesanti non è indicata. Si può fare solo una stima, soggetta a errore, che tra definitivi e in attesa di giudizio stiamo parlando di 10mila persone interessate.
 
Quali sono gli scenari che si aprono, dunque?
 
Per le persone in attesa di giudizio o in custodia cautelare queste subiranno una pena certamente più bassa. Per i condannati in via definitiva ci sono due vie: o il cosiddetto incidente di esecuzione, e cioè un’istanza rivolta al tribunale che li ha condannati dove si richiede la revisione del processo, oppure -come suggerito da Giovanni Maria Flick (ex presidente della Corte costituzionale)- un indulto speciale per una norma dichiarata incostituzionale.
 
Perché sono trascorsi otto anni prima di poter dichiarare l’illegittimità della legge?
 
Il ricorso dipende da regole precise. Nessuno aveva sollevato l’eccezione, se non in un processo specifico quando un difensore di un imputato ha deciso di fare il passo. Probabilmente lo si sarebbe potuto effettuare -in quella direzione disciplinata e con tempi molto precisi- se ci fosse stata una maggiore attenzione o mobilitazione pubblica o intelligenza giudiziaria.
 
L’attuale presidente del Consiglio (Enrico Letta, sempre che non accada qualcosa in queste ore) -interpretando e rappresentando gli intendimenti dell’esecutivo che guida- si è costituito nel giudizio di legittimità relativo alla legge 21 febbraio 2006 richiedendo per questo la dichiarazione di inammissibilità. Come giudica tale scelta?
 
Quella è stata una scelta formale, non di merito. L’attuale composizione del Parlamento -anche se mi occupo poco di queste cose- per me avrebbe potuto permettere prima della sentenza un alleggerimento dell’apparato sanzionatorio. Che a questo punto è reso meno urgente dalla sentenza della Consulta. Ora si tratta di verificare se, con un nuovo governo, qualora vi sia, si possa assumere una posizione più decisa, intesa alla depenalizzazione, come quella che ho proposto nel mio disegno di legge. 

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