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C’era posta per te

Lunedì 7 aprile 2014 è la “Giornata di mobilitazione nazionale per il servizio postale pubblico”, promossa da Cobas Poste e Cub contro la prossima privatizzazione di Poste Italiane Spa. L’inchiesta di Altreconomia ricostruisce però come l’azienda abbia già cambiato faccia. Tra esuberi, esternalizzazioni e chiusura degli sportelli è la fine di un servizio al cittadino —

Tratto da Altreconomia 158 — Marzo 2014

Mentre scrivo, Silvia è nell’altra stanza che risponde all’ennesima telefonata: è un abbonato, lamenta che la copia di “Altreconomia” questo mese è arrivata strappata. A riprova, c’invia una foto.
Intanto a fine gennaio, mentre sulle pagine dei quotidiani economici prende corpo il dibattito sul valore di Poste Italiane spa, in vista della parziale privatizzazione e conseguente quotazione in Borsa entro fine 2014 (il 14 febbraio, in extremis, il governo Letta ha scelto gli advisor), alla casella redazione@altreconomia.it arriva una e-mail di Paola: “Cari della redazione, è il terzo anno che rinnovo l’abbonamento alla rivista, ma mi spiegate per quale motivo a me arriva praticamente quando nel resto d’Italia esce quella del mese successivo? Nella mail sotto dite che il numero di febbraio è partito per gli abbonati e io soltanto ieri ho ricevuto quello di gennaio…”. Paola rispondeva alla nostra newsletter, e noi proviamo a rispondere alla sua domanda: il titolare dell’azienda che si occupa di spedire Ae, ci spiega che il problema parte dai Centri di meccanizzazione postale (CMP). Una ventina in tutta Italia, i CMP si occupano di smistare la corrispondenza, e dal primo novembre 2013 -nell’ambito di una gara d’appalto vinta da Selex ES, società del gruppo Finmeccanica– è cambiata la società incaricata dalla manutenzione e dell’assistenza tecnica: chi è subentrato, cioè Ph facility, ha fatto i conti con il piano di riorganizzazione di poste, prevedendo un taglio significativo del personale. “L’avvicendamento […] ha determinato l’avvio di una vertenza sindacale per il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti […] caratterizzata da azioni di protesta che hanno determinato riduzioni e ritardi degli interventi di assistenza programmata e manutenzione negli stabilimenti, nonché abbandono del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno negli impianti dei CMP” ha spiegato il 28 gennaio alla Commissione trasporti della Camera l’allora viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà, rispondendo a un’interrogazione. Catricalà ha aggiunto che “la società Poste Italiane ha evidenziato che, a seguito dell’Intesa del 28 febbraio 2013 riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emersi complessivamente circa 6mila esuberi, dei quali circa 1.400 presso i CMP e pertanto non trovano giustificazione le richieste di inserimento di nuovo personale nell’ambito di quelle realtà operative”.

Ecco una prima risposta: i numeri di dicembre 2013 e gennaio 2014 di Ae sono stati vittima degli scioperi. Ma c’è dell’altro: noi spediamo la rivista utilizzando la tariffa “periodici”, cioè una di quelle garantite dallo Stato nell’ambito del “servizio postale universale”, che viene realizzato utilizzando “la rete postale pubblica”, come spiega il Contratto di programma siglato da Poste con il ministero dello Sviluppo economico. Firmato il 5 novembre 2010, risulta valido per il triennio 2009-2011, ma è stato prorogato, ed è tutt’ora in vigore. A pagina 11, spiega che Poste Italiane riceve -in media- ogni anno un “trasferimento dovuto” di oltre 350 milioni di euro. Queste risorse rappresentano meno del 10 per cento dei ricavi dell’ambito Servizi postali e commerciali, una delle tre aree di business in cui è diviso il bilancio del gruppo, una società tutt’ora controllata al 100 per cento dal ministero del Tesoro e che nel 2012 ha registrato un fatturato di circa 24 miliardi di euro, con oltre un miliardo di utili.
Se guardiamo alla relazione finanziaria semestrale al 30 giugno 2013, i servizi postali valgono meno del 20 per cento del fatturato del gruppo, che è in crescita del 3 per cento rispetto all’anno precedente. Servizi finanziari e assicurativi, invece, garantiscono il 79% del fatturato degli uffici postali: a garantire reddito all’azienda, cioè, sono la funzione Bancoposta e la controllata PosteVita. 

È naturale, così, che a fine ottobre 2013, durante un’audizione informale di fronte alla commissione Trasporti della Camera, l’amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi abbia dedicato solo pochi minuti, durante un incontro durato oltre due ore, al tema del “recapito”. È lo è altrettanto che lo stesso Sarmi, pur spiegando che il servizio universale sarebbe in perdita, non abbia mai avanzato al governo la richiesta di rivedere, aumentandolo, il corrispettivo riconosciuto a Poste Italiane.
Nei primi sei mesi del 2013 sono stati chiusi 559 uffici postali, pari al 4 per cento dell’estensione della rete (che al 31 dicembre 2012 ne contava 13.676). È in base al contratto di programma, infatti, che Poste è tenuta a comunicare ogni anno all’Autorità per le garanzia nelle comunicazioni (Agcom) l’elenco “degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico, unitamente al piano di intervento e ai relativi criteri per la progressiva razionalizzazione della loro gestione”. Eppure, l’articolo 8 dello stesso contratto stabilisce per Poste una funzione di “protezione del sistema di coesione sociale del Paese”, garantendo attraverso la rete postale pubblica la “fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni”. 

Abbiamo chiesto a Poste Italiane “qual è il volume di affari (recapito più desk) necessario per tenere aperto un ufficio postale?”, e “qual è il bacino di popolazione che permette di considerare ‘sostenibile’ un ufficio postale?”. Non abbiamo ricevuto risposta. Chi ha scelto di rispondere è invece Uncem Toscana, che in collaborazione con la Regione ha aperto gli sportelli “Ecco fatto!”, per riportare servizi territoriali in quei Comuni o in quelle frazioni che hanno perso l’ufficio postale: l’Unione nazionale dei Comuni e delle Comunità ed enti montani ha aperto 56 sportelli, dove “lavorano” giovani impegnati nel servizio civile volontario. Tra i Comuni dove il servizio è attivo c’è Capannori, in provincia di Lucca.
Il sindaco, Giorgio Del Ghingaro, spiega così ad Ae l’effetto che fa il venir meno del servizio postale: “La ‘Posta’ è sempre stata un punto di riferimento. Lì si ritira la pensione, le raccomandate. Nell’immaginario collettivo il venir meno della Posta è un elemento negativo di formazione della comunità, e se viene anche meno il ruolo del postino, di colui che suona alla porta, c’è un black out inevitabile: la gente si sente abbandonata. È l’anziano ad essere in difficoltà se non arriva la bolletta”. Per questo, in una frazione collinare del Comune -Valgiano- è attivo uno sportello “Ecco fatto!” .

A Poste Italiane Ae ha chiesto “quale innovazione potrebbe essere portata nell’attività degli uffici postali periferici, in modo da garantirne la continuità funzionale?”, senza ricevere alcuna risposta.
Alcune idee le esprime invece un dipendente di Poste Italiane, iscritto a un sindacato: “In Italia nessuno vanta una rete capillare come quella degli uffici postali -suggerisce-. Questa infrastruttura potrebbe essere utilizzata in una funzione pubblica, per creare un network di distribuzione delle merci.
Negli anni sono stati presentati alcuni progetti: i portalettere avrebbe dovuto girare con il tablet, per fornire servizi bancari online… ipotesi, cui però non ha fatto seguito alcun investimento”.

Nei primi sei mesi del 2013, il volume della corrispondenza si è ridotto del 7,9%, quello dei pacchi del 6,4%. Secondo i Cobas delle Poste, questi dati vengono utilizzati dall’azienda per imporre una riduzione del personale, anche se l’impresa cerca di aumentare i ricavi: “Un elemento che pesa sul carico di lavoro dei portalettere è l’acquisizione da parte dell’azienda di varie commesse (volantini pubblicitari, Pagine Bianche, cartelle esattoriali, bollettini delle amministrazioni locali, cataloghi Ikea) e ogni altra possibile attività che permette incassi e viene svolta senza corrispondere alcun emolumento ai dipendenti, non risultando nel carico di lavoro”.  Tra le scelte aziendali, vi sarebbe anche l’introduzione del “meccanismo della ‘flessibilità operativa’: prevede che il lavoro di un portalettere assente si scarichi sui colleghi in servizio, con un aumento del carico di lavoro anche del 33% giornaliero, a fronte di un riconoscimento economico pari alla metà della paga ordinaria”.

A fine dicembre, intanto, l’Agcom (www.agcom.it) ha dato il via libera ad un aumento del prezzi di lettere e raccomandate: entro il 2016, l’azienda ha facoltà di portare a 95 centesimi il prezzo delle prime (più 35% dagli attuali 70 centesimi) e a ,540 euro quello delle secondo (su del 50%, dai 3,60 euro attuali). Nemmeno un mese dopo, però, con una Delibera del 21 gennaio 2014 la stessa Autorità ha imposto a Poste Italiane spa una multa di 300mila euro, quale “penale per la mancata realizzazione nell’anno 2012 degli obiettivi di qualità” in Campania. La società ha provato a giustificarsi spiegando che la colpa dei ritardi nella consegna della corrispondenza sia dovuta ad “eventi critici connessi ai rapporti tra Poste Italiane e le agenzie di recapito esterne”, cioè ai lavoratori di agenzie partner cui ha esternalizzato il lavoro. Perché chi suona alla vostra porta, spesso, non è un postino. —

La busta non paga
A fine 2012 Poste Italiane spa aveva 144mila dipendenti, che hanno “festeggiato” con la società -controllata interamente dal ministero del Tesoro- un utile record, per la prima volta oltre il miliardo di euro. Nei primi sei mesi del 2013 il dato è in discesa del 13% rispetto al primo semestre del 2012, ma comunque oltre i 360 milioni di euro.
La regina delle partecipate è Poste Vita spa, che a sua volta controlla Poste Assicura spa: le attività del comparto “polizze” sono in crescita del 7,7% nei primi sei mesi del 2013 (il che significa, su una raccolta di circa 6,6 miliardi di euro, un più 470 milioni rispetto al 2012). Poste Vita controlla il 18,6% del mercato di riferimento “in termini di nuova produzione”.
L’universo Poste Italiane però è molto più ampio, e spazia dai servizi legati alla telefonia (con Postemobile, che è il primo operatore virtuale in Italia, con una quota di mercato del 50 per cento) al corriere espresso (con SDA), dalla gestione di fondi comuni di investimento (con BancoPosta Fondi SGR) all’aviazione. Oltre alla propria “compagnia di riferimento”, che si chiama Mistral Air, e trasporta la corrispondenza per via aerea, a fine 2013 Poste Italiane spa ha deliberato anche il proprio ingresso nel capitale di Alitalia, con un investimento di 75 milioni di euro a garanzia di un aumento di capitale della ex “compagnia di bandiera”, di cui oggi Poste è il secondo azionista, dietro Intesa Sanpaolo. 

I Buoni delle Poste
“Secondo te le Poste sono un ‘bene comune’, o no?”. C. lavora presso un ufficio postale delle Marche -segue i clienti Bancoposta-, e crede che ciò “che accadrà a Poste dev’essere un interesse primario dei cittadini italiani, perché quest’azienda è l’unica a raccogliere ancora soldi per conto dello Stato, ed è necessario che questo avvenga attraverso una amministrazione controllata”. C. fa riferimento ai Buoni fruttiferi postali (Bfp), emessi da Cassa depositi e prestiti, collocati da Poste e garantiti dallo Stato.
I Bfp emessi al 30 giugno 2013 valgono oltre 211 miliardi di euro. La “raccolta complessiva” di risparmio postale -che comprende anche i depositi sui libretti, ma non quelli su conti correnti Bancoposta- quasi 314 miliardi di euro. Poste Italiane riceve una commissione da parte di Cdp, di 1,6 miliardi nel 2012. L’attività occupa 22mila persone. I Bfp sono emessi “a rubinetto”, senza limiti.
La commissione è in parte fissa, e in parte “commisurata al volume dei vari strumenti che Poste gestisce per conto nostro” spiegano da Cdp, senza divulgare percentuali. In vista della privatizzazione, Poste Italiane punta a un rinnovo quinquennale della convenzione.

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