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Ambiente

Questa costa non è un albergo

In cinquant’anni l’Emilia-Romagna ha perso oltre la metà della costa libera da insediamenti. Il caso di Comacchio — 

Tratto da Altreconomia 160 — Maggio 2014

Stefano guarda la Costa Adriatica dal mare. È un velista, e la sua barca, “Gea”, accompagna gruppi di turisti per viaggi nell’Alto Adriatico, dal Delta del Po alla Laguna di Venezia. Collabora (come volontario) con l’associazione sportiva OltreMare, che promuove anche attività di educazione ambientale, come Campus-vela dedicati a ragazzi 8-15 anni. Tutte le proposte -che fanno parte del progetto “EcoSailing” (www.ecosailing.it)- rispondono al disciplinare di impegno per la riduzione dell’impatto delle attività turistiche, concordato con Legambiente Turismo (www.legambienteturismo.it). E quando torna sulla terraferma, lasciando la barca a Lido degli Estensi, uno dei sette “lidi” del Comune di Comacchio, in provincia di Ferrara, Stefano Martini è un volontario della stessa associazione ambientalista. Una sentinella attenta alle trasformazioni del paesaggio, a una terra che non è ferma, ma in profondo cambiamento.

Accompagnato da Stefano, visito, da Sud a Nord, Lido di Spina, Lido degli Estensi, Porto Garibaldi, Lido degli Scacchi, Lido di Pomposa, Lido delle Nazioni e Lido di Volano: le sette località occupano una ventina di chilometri di Costa Adriatica, e paiono ancora immerse negli anni Cinquanta e Sessanta del ventesimo secolo, quelli in cui sono nate. Qui, l’edilizia è ancora nel boom, almeno a giudicare dai cantieri aperti e dalle urbanizzazioni più recenti. Conto migliaia di nuovi appartamenti: alcuni ostentano intonaci colorati e il cartello “vendesi”, altri sono fermi a metà, senza infissi.
A Comacchio, 22mila abitanti e almeno 35mila seconde case, scopro il trucco delle “finte RTA”, cioè delle nuove costruzioni autorizzate come residenze turistico-alberghiere (residence) ma realizzate come fossero villette a schiera, case da vendere. Alcune, tra queste, sono dietro transenne:  le hanno sequestrate, racconta Stefano Martini, dopo le denunce di Legambiente. Altre invece sono lì, (forse) pronte ad essere vendute: su ogni campanello c’è un diverso numero civico. Queste case non sono -è evidente- un albergo.

Stefano racconta che quello che vedo è solo la punta di un iceberg: “L’amministrazione comunale -sostiene l’attivista di Legambiente Comacchio- dovrebbe ‘far pulizia’, perché il vecchio piano regolatore, quello approvato nel 2002, rappresenta una vera ‘bomba urbanistica’, con aree d’espansione per centinaia di ettari”. Cinquanta, con la possibilità di realizzare fino a 1.300 appartamenti, sono soltanto quelli intorno al nuovo porto turistico di Lido degli Estensi, in una zona d’insicurezza idraulica (tutta la zona di Comacchio, una volta, era solo acqua, sospesa tra il Mar Adriatico e il Delta del Po). Invece di “neutralizzare” le previsioni urbanistiche, però, il Comune di Comacchio -amministrato dal 2012 da Marco Fabbri, del M5S- pare intenzionato a rilanciare, con 11 progetti  raccolti nel Contratto di sviluppo “Turismo del Delta”. Si tratta di realizzare nuovi villaggi, campeggi e residence per oltre 13mila posti letto, e di riqualificare strutture esistenti in grado di ospitare 9mila persone.
Il Contratto di sviluppo -già oggetto di un Protocollo d’intesa tra Comune e Provincia di Ferrara- è stato sottoposto nell’autunno del 2013 ad Invitalia, Agenzie nazionale per lo sviluppo d’impresa. Si cerca un cofinanziamento pubblico: 43 milioni di euro, su un totale di 185 milioni. Una risposta ufficiale non è ancora arrivata, e Invitalia non fornisce informazioni ad Ae. “Il nostro circolo non è contrario a prescindere al piano per il ‘Turismo nel Delta’ -spiega Stefano Martini-: alcuni interventi prevedono la riqualificazione di hotel chiusi e abbandonati da anni, ma quelli più importanti verrebbero realizzati in variante rispetto al piano regolatore su aree oggi agricole”.

Secondo le scheda dettagliata degli 11 progetti, gli interventi dovrebbe garantire un flusso turistico aggiuntivo di quasi 1,6 milioni nuove presenze di presenze: rappresenterebbe quasi il 33% in più rispetto a quelle che si registrano ogni anno nell’area dei Lidi ferraresi, circa 5 milioni. Solo che questa parte d’Italia non è collegata alla ferrovia, e si può raggiungere solo in auto, attraverso il raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi e la strada statale Romea.     
Ma cemento chiama cemento, e così la prima potrebbe essere allargata fino a diventare autostrada, mentre la seconda verrebbe affiancata dall’autostrada tra Orte e Mestre, che a novembre 2013 ha ottenuto il via libera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica): “Il Comune di Mira, amministrato dal M5S come quello di Comacchio, ha preso posizione contro l’opera, mentre i nostri amministratori nicchiano” spiega Stefano, che è anche un’attivista della Rete Stop Or_Me (www.stoporme.org). Il sindaco del Comune di Comacchio, più volte sollecitato da Ae, non ci ha concesso alcuna intervista. Nel suo programma elettorale parlava di “stop al consumo di suolo”, e invece rischia di ripetersi  il meccanismo perverso che negli ultimi cinquant’anni ha portato l’Emilia-Romagna a perdere oltre la metà della costa libera da insediamenti, come evidenzia un articolo pubblicato dalla rivista internazionale “Land Use Policy” (http://www.journals.elsevier.com/land-use-policy/) e scritto da Bernardino Romano e Francesco Zullo dell’Università dell’Aquila. Il titolo –“The urban transformation of Italy’s Adriatic coastal strip”– è seguito da un giudizio inappellabile: “Cinquant’anni d’insostenibilità”. Sono i 50 anni in cui sono stati costruiti i Lidi ferraresi, quelli in cui i municipi costieri delle 7 regioni adriatiche (Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia) hanno perso in tutto quasi 500 chilometri di costa libera dall’edificazione. Oggi sono rimasti solo 466 chilometri di Urban Free Cost su un totale di 1.472, contro i 944 degli anni Cinquanta. 
Le infrastrutture -con la linea adriatica della ferrovia, la Ss 16 tra Padova e il Salento e l’autostrada A14- sono uno dei motivi della “intensificazione di insediamento sulla costa, prima per funzioni turistiche e poi anche residenziali -spiega Bernardino Romano, professore di Pianificazione territoriale alla Facoltà di Ingegneria dell’Università dell’Aquila-: oggi la Costa Adriatica è un’unica città metropolitana di milioni di abitanti, ed è difficile definire dove finisce un insediamento e ne inizia un altro. L’area è servita anche da una metropolitana, che è la ferrovia, con gli Intercity e i FrecciaBianca che collegano Rimini a Bari”. E la popolazione di queste aree costiere è aumentata tra il 1950 e il 2001 di 720mila persone, più del doppio (27%, invece del 12%) rispetto al dato medio delle regioni corrispondenti.

Secondo Romano, “la Costa Adriatica rappresenta una peculiarità nello sviluppo insediativo italiano, un’area caratterizzata da un accanimento durato cinquant’anni: iniziato da alcune aree, ha finito con l’interessare tutto il territorio”. Per questo, secondo il docente dell’Università dell’Aquila, “sebbene il nostro Paese non sia solito adottare forme di pianificazione ‘su aree molto estese’, di livello nazionale o sub nazionale, in questo caso dovrebbe prendere in considerazione alcuni provvedimenti di validità complessiva”. Ad esempio, “una moratoria nella realizzazione di nuovi insediamenti almeno entro i 500 metri dalla costa, recuperando il ‘dettato’ della legge Galasso del 1985, ma aggiornandone i termini, perché i 150 metri della 431/85 sono forse pochi per conservare i più importanti eco-sistemi costieri. Così come sarebbe opportuna una ‘legge speciale per le coste’, comprendendo anche quelle tirrenica e jonica, prevedendo forme di stretto controllo degli interventi in attesa di verificare delle reali situazioni di saturazione”, che hanno visto passare, nei 50 anni considerati, l’indice di urbanizzazione della fascia costiera, appunto i primi 500 metri dal mare, dal 12 al 34% in media, e dal 20 al 56% in Emilia-Romagna. A salvarsi, in pratica, “sono state solo le aree autodifese per ragioni di tipo morfologico, cioè i promontori” racconta Romano: le condizioni naturali prevalgono ancora su Monte San Bartolo, tra Rimini e Pesaro, sul Conero, presso Ancona, sul Gargano, che è Parco nazionale. In Abruzzo potrebbe essere istituito un nuovo parco (forse nazionale) lungo la Costa teatina (in provincia di Chieti): l’iter, avviato nel 2001, è però bloccato dai ritardi nel delimitare l’area protetta: “L’idea è nata con la rimozione della linea ferroviaria, che in certi punti era distante qualche metro dall’acqua. Ciò che ancora non si è ‘rimosso’, però, sono le pressioni di alcune componenti politiche e imprenditoriali per collocare insediamenti turistici sulla fascia della spiaggia”  spiega il professor Romano, come dimostrano molti esempi anche in altre regioni.

Anche il territorio del Comune di Comacchio rientra in un’area protetta, il Parco regionale del Delta del Po, ma questo non lo salva dal cemento: “L’iter per l’approvazione del Piano del Parco, adottato nel dicembre del 2012, è ancora in corso. Legambiente Emilia-Romagna ha presentato osservazioni, rimaste per lo più inascoltate”. Così, se oggi uno legge il Piano del Parco e il Contratto di sviluppo “Turismo nel Delta” scopre che alcune aree edificabili si sovrappongono. —

Cemento ergo sum
“Il consumo di suolo nella fascia compresa entro i 10 chilometri dalla costa assume valori nettamente superiori e continua a crescere più velocemente rispetto al resto del territorio nazionale, passando dal 4% degli anni ‘50 al 10,5% nel 2012. Oltre questi 10 chilometri è stato registrato un incremento di 4 punti percentuali nell’arco temporale considerato”. È senza appello il paragrafo dedicato alla fascia costiera tratto dall’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia, presentato a Roma a fine marzo (si scarica qui: www.isprambiente.gov.it).
Complessivamente, in Italia è ormai urbanizzato il 7,3% del territorio, per una superficie complessiva -a fine 2012- di quasi 22mila chilometri quadrati, 720 in più rispetto al 2009. Tra i dati più significati che emergono dal rapporto stilato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale c’è la partizione del consumo di suolo per tipologia “insediativa”: il 47% del territorio italiano è occupato da infrastrutture, e solo il 30 per cento da edifici.

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