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Diritti / Opinioni

Tutto nel nome della sicurezza

Massimo Bitonci, sindaco di Padova, torna a far leva sull’esigenza di disciplinare ogni aspetto della vita cittadina, per colpire precise categorie, emarginati e poveri. Una nuova stagione delle ordinanze

Tratto da Altreconomia 164 — Ottobre 2014

Forse dovremmo ringraziare il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, per averci ricordato qual è la parola chiave della stagione sociale e politica cominciata grossomodo nel 2001, anno infausto delle repressioni a Genova durante il G8 e dell’avvio della cosiddetta guerra al terrorismo seguita agli attentati a New York e Washington: sicurezza. Ecco il totem, potremmo dire il format che caratterizza (in realtà deforma) la democrazia contemporanea. Il nuovo sindaco di Padova ha messo a punto una serie di divieti con i quali intende disciplinare la vita cittadina, pescando a piene mani nella “stagione delle ordinanze” che qualche anno fa impegnò sindaci e assessori di ogni colore in una pazza corsa a proibire, a nascondere e colpire persone sgradite o condotte giudicate sconvenienti o lesive di una certa idea del decoro.

Nella Padova di Bitonci (nella foto a fianco) non si può mendicare, stendere panni nel centro storico, appoggiare o fissare la bicicletta a pali o altri supporti, sedersi o sdraiarsi per terra (e tanto meno su una panchina), affiggere papiri di laurea ai tronchi degli alberi e via elencando, fino a un nostalgico divieto di “mostrarsi in pubblico in abiti che offendono il comune senso del pudore”. Il leghista Bitonci giustifica il suo pacchetto di divieti nel nome della sicurezza, come ai vecchi tempi del suo mandato come sindaco di Cittadella, un centro della provincia padovana. In quel caso si distinse per un regolamento pensato per ostacolare l’iscrizione anagrafica dei cittadini non italiani. Anche stavolta le misure tradiscono una tendenza a colpire precise categorie di persone, ossia i poveri, gli emarginati, gli irregolari: si spiegano così i divieti di mendicare, sedersi in terra, dormire sulle panchine o in spazi abbandonati. 

Bitonci va ringraziato perché con la sua sortita estiva, ripresa e rilanciata dai media, ci ha ricordato che i pacchetti sicurezza dei primi anni Duemila tuttora disciplinano e condizionano la nostra vita quotidiana: le vecchie ordinanze -in testa quella forse più emblematica, approvata a Firenze per colpire poche decine di poveri che cercavano di cavarsela lavando i vetri delle auto ferme ai semafori- sono entrate nei regolamenti di polizia municipale, diventando così regole permanenti. La sicurezza -una precisa idea di sicurezza, di carattere prettamente poliziesco e militare, anziché sociale- è il principio ordinatore delle società occidentali contemporanee. È una parola magica che fa da scudo a scelte estreme. Tuttora viene utilizzata con un certo successo per giustificare azioni militari internazionali, sebbene le principali missioni belliche decise dopo l’11 settembre 2001 per tutelare la sicurezza dei cittadini statunitensi, europei, occidentali abbiano in realtà alimentato le fonti di pericolo, le reti terroristiche internazionali, le aree del pianeta politicamente instabili. Invocare la sicurezza dei cittadini continua tuttavia ad essere un passepartout: tutti sappiamo che ogni intervento bellico crea più problemi di quelli che risolve e che il cosiddetto terrorismo internazionale è più forte e più radicato oggi che nel 2001, ma la promessa di sicurezza conserva una vasta efficacia persuasiva. Alzando al cielo il totem della sicurezza, l’amministrazione Obama ha messo in campo la più vasta operazione di sorveglianza di massa mai pensata: come hanno ben spiegato Edward Snowden e Glenn Greenwald, l’agente che ha svelato i segreti dell’agenzia Nsa e il giornalista che ne ha raccolto la testimonianza, il piano Obama si proponeva (e si propone) di controllare tutto, controllare tutti. È un progetto che si è indotti -fatalmente- a definire orwelliano, pensando al celebre “1984” dello scrittore inglese, ma che ha suscitato uno scandalo tutto sommato limitato, trovando vaste schiere di difensori sia in politica sia nel giornalismo convenzionale. Dovremmo a questo punto domandarci se non stiamo applicando nella nostra vita pubblica e privata ciò che George Orwell nel suo fondamentale libro -uscito nel 1949- chiamava bipensiero (“doublethink”), uno degli architravi nella società dominata dal Grande Fratello. Il bipensiero, in “1984”, è ad esempio: “Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda, sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe; fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla…”. Eccetera eccetera. —

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