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Ambiente

L’acqua è vita, ma si paga

Negli slum di Accra, la capitale del Ghana, il servizio idrico pubblico è assente: chi vi abita è costretto a bere quella in bottiglia o di pozzi privati —

Tratto da Altreconomia 164 — Ottobre 2014

Nel cuore caotico e pulsante di Accra, la capitale del Ghana che conta quasi 4 milioni di abitanti, c’è Nima, una delle baraccopoli più vaste di questo pezzetto d’Africa occidentale bagnato dall’Atlantico. In netto contrasto con i colori delle ex case coloniali, offuscati dall’aria intrisa di afa e smog, Nima è un conglomerato di abitazioni di fortuna. Costeggiando la Kanda Highway, autostrada che demarca con rigore geometrico la linea di confine tra i quartieri alti e i bassifondi, lo slum ospita circa 200mila persone. Odaw, la più grande discarica a cielo aperto della città, delinea anche il confine tra Nima e la sua comunità gemella Maamobi. L’olezzo di fogna si confonde con lo smog delle automobili e dei tro-tro (minibus) che sfrecciano senza sosta su strade spesso non asfaltate. Il canto del muezzin echeggia dalle moschee di questo piccolo microcosmo musulmano nel cuore di un Paese a maggioranza cristiana. 

Nelle due comunità, la maggior parte dei residenti non ha accesso ad acqua potabile e a sistemi igienico-sanitari di base. Le infrastrutture idriche predisposte dalla Ghana Water Company Limited (GWCL), azienda pubblica incaricata della gestione e distribuzione dell’acqua nelle aree urbane, non sono sufficienti a garantire l’approvvigionamento idrico negli slum sovraffollati. Anche nelle abitazioni collegate al sistema di distribuzione centralizzato della GWCL, inoltre, l’acqua scorre raramente dai rubinetti e può mancare fino a 6 mesi. Il malfunzionamento delle infrastrutture idriche pubbliche e del sistema igienico-sanitario determina la scarsa qualità dell’acqua: pressoché inaccessibile, non è nemmeno potabile. L’inadeguatezza dei servizi idrici e sanitari ha conseguenze negative sulla vita delle persone che vivono nei quartieri più poveri della città e del Paese intero, costrette a pagare a caro prezzo la risorsa che bevono e consumano giornalmente. Una famiglia media (8-9 membri) di Nima-Maamobi paga dai 3 ai 20 Ghana Cedi al giorno (da qualche centesimo a 2 euro) per permettere a ciascuno di lavarsi, cucinare e sbrigare le faccende domestiche. Considerando che il salario minimo si aggira intorno ai 120 Ghana Cedi al mese (circa 10 euro) e che la disoccupazione è un fenomeno dilagante, la proporzione è presto fatta.

I 20 litri d’acqua pro-capite al giorno, quota minima necessaria al quotidiano fabbisogno umano, scende a 7/8 litri negli slum di Accra. Chi può permetterselo compra l’acqua dai water trader, commercianti improvvisati, che la vendono in sacchetti di plastica o bottigliette da mezzo litro, per qualche centesimo di euro. I più fortunati riempiono i loro contenitori dai borehole, pozzi meccanici dotati di sistemi di fortuna che purificano l’acqua estratta dalle falde acquifere sotterranee, o dalle poly tank, autocisterne adibite allo stoccaggio d’acqua piovana. In alcuni casi, i borehole sono costruiti dalle ONG presenti nelle comunità e gestiti dai suoi residenti. In altri, si tratta di pozzi predisposti e gestiti da privati, e sono loro a decidere a che prezzo si può bere.
“Un pozzo meccanico costa circa 3mila dollari”, spiega Rashid, originario di Nima. Chiunque può costruirne uno e gestirne gli introiti. I più poveri dedicano invece più di 4 ore al giorno alla ricerca di acqua. Si tratta di donne e bambini che trasportano sul capo enormi bacinelle per chilometri, alla ricerca di un pozzo, una cisterna o un venditore che gli faccia un “buon prezzo”. Spesso lo sfinimento induce a bere acqua dalle pozzanghere e da fonti non sicure, provocando diarrea, colera, e malattie intestinali.
Eppure la Costituzione della Repubblica del Ghana definisce l’acqua “proprietà dello Stato e del popolo”. E il National Water Policy, il documento che ne disegna le linee politiche di gestione, sancisce il “principio del diritto fondamentale dell’accesso all’acqua per tutti”, ma ne determina la “rilevanza economica” in quanto “risorsa finita e preziosa”. In altri termini: l’acqua è vita, ma si paga.
Le strenue lotte anti-privatizzazione della società civile ghaniana, conclusesi con la ri-pubblicizzazione dell’acqua nel 2011, ne hanno restituito la gestione allo Stato. Hanno però denunciato, allo stesso tempo, gli squilibri causati della sfrenata ondata di privatizzazioni degli anni 80 e 90 in Ghana, nel quadro del “Programma di aggiustamento strutturale”, caldeggiato da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Tuttavia, il sistema di gestione pubblica, biforcata tra aree urbane e rurali, con le aziende GWCL e CWSA (cioè Community Water and Sanitation Agency), “fa acqua”: all’inefficienza delle infrastrutture in termini di estensione, manutenzione e monitoraggio delle pompe, si aggiungono tariffe esorbitanti, che oscillano al variare del prezzo della valuta, nel rispetto di un “aggiustamento automatico”. Si tratta di un principio macroeconomico, che lega intrinsecamente il prezzo dell’acqua al valore della moneta sul mercato. Il diritto all’acqua, sancito dalla Costituzione, si svuota di significato e si trasforma in merce di scambio. La società civile chiede che il governo investa maggiormente non solo nelle infrastrutture ma anche nelle politiche, per incoraggiarne la gestione partecipata da parte delle comunità, sia a livello urbano sia rurale.
L’acqua è un diritto umano fondamentale riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma in Ghana, secondo le ultime stime dell’UNICEF, solo il 30% della popolazione nelle aree urbane oggi ha accesso ad acqua potabile. La percentuale si abbassa notevolmente nelle aree rurali e in riferimento ai servizi igienico-sanitari. Da questo emergono le contraddizioni legate alla maldistribuzione della ricchezza in un Paese definito “a medio reddito” perché vanta un tasso di crescita economica positivo, anche se è dovuto alle esportazioni di oro, cacao e, più recentemente, petrolio. 
Reinvestire i proventi derivanti dall’export delle materie prime in politiche strutturali sul territorio, renderebbe l’acqua un bene accessibile a tutti e il Ghana un Paese meno dipendente dai donatori internazionali e dalle multinazionali. La situazione attuale invece rende il Paese africano estremamente vulnerabile e assoggettato alle importazioni di prodotti trasformati nei mercati esteri ed europei. L’Europa, a sua volta, gioca un’importante partita in Africa occidentale: con un volume di scambi pari a 7 miliardi di euro nel 2012, l’Ue è il principale partner economico del Ghana. Gli aiuti europei allo sviluppo nell’area ammontano invece a 45 milioni di euro, e fanno di Bruxelles il donatore numero uno nel Paese. Il 10 luglio scorso ad Accra sono stati conclusi gli Accordi di partenariato economico (EPA) tra Unione europea e l’organizzazione degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) di cui il Ghana fa parte. Prevedono la liberalizzazione degli scambi commerciali e predispongono l’avvio di negoziati successivi nell’ambito della liberalizzazione dei servizi, degli appalti pubblici e degli investimenti diretti esteri. Il “lato oscuro” degli EPA, che una volta firmati e ratificati entreranno in vigore in tutti i Paesi dell’Europa e dell’Africa occidentale (compresi Ghana e Italia), è quello relativo alla liberalizzazione dei servizi. Lo spettro delle privatizzazioni di servizi di base quali acqua e igiene si aggira nuovamente minaccioso in Ghana. Lungi dal contribuire all’implementazione del diritto all’acqua con politiche indirizzate a una copertura universale, la risorsa diverrebbe un bene ancora più costoso per i ghanesi. E per le donne e i bambini degli slum di Accra la distanza dal diritto all’acqua si misurerà ancora in chilometri: quelli da percorrere, ogni giorno, per procurarsi da bere. —

Un mercato in Ghana
L’export di cacao, oro e petrolio fanno del Ghana un Paese “a medio reddito”. Queste risorse, però, non sono per tutti, come spiega -a partire da un viaggio intorno all’acqua nello slum di Nima, alla periferia di Accra- il report curato per COSPE (www.cospe.org) da Silvia Cardascia, in collaborazione con Altreconomia.
Nel 2011, il Ghana riportava i servizi idrici sotto il controllo pubblico, ma questo “risultato” -ottenuto grazie a uno sforzo della società civile- si scontra oggi con due ordini di problemi: l’inefficienza delle 2 aziende pubbliche incaricate della gestione in ambito urbano e rurale, e gli accordi di partenariato economico che tutti i Paesi dell’Africa occidentale (Ghana compreso) stanno per firmare con l’Unione europea. Un capitolo degli Ecominic Partnership Agreement (EPA) è dedicato alla liberalizzazione dei servizi. Il reportage verrà presentato a Bologna l’11 ottobre dalle 17.45, in occasione dell’evento “Stop Water Grabbing!” durante la 8° edizione del Terradituttifilmfestival (terradituttifilmfestival.org).

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