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Altre Economie

La riconversione delle bollicine

Con il “Protocollo di sostenibilità” delle Cantine Ferrari in vigna si seguono le regole dell’agricoltura biologica. Coinvolti anche 500 fornitori, che conducono oltre 1.400 appezzamenti in tutto il Trentino. Il secondo reportage di Altreconomia per il progetto "Riconversione"

Tratto da Altreconomia 165 — Novembre 2014

Tra i filari di Maso Ben, nel territorio del comune di Drena (TN), si vendemmiano uve chardonnay e pinot nero. Sono vitigni fondamentali per produrre uno spumante “metodo classico” Trento Doc. Questo vigneto, di proprietà delle Cantine Ferrari, è anche in conversione al biologico. Una scelta che per l’azienda trentina, fondata nel 1902, risponde alla presenza di “criticità sociali nel territorio”, come le chiama Luca Pedron, agronomo e responsabile del Gruppo tecnico viticolo delle Cantine Ferrari.
Pedron fa riferimento alle coltivazioni di melo e vite che, come tute le monocolture, hanno una forte pressione di alcuni parassiti. La difesa convenzionale fa uso di pesticidi, che anche a causa dell’urbanizzazione delle aree rurali sono fonte di criticità per la popolazione residente.
Meli e filari di vite convivono, anche lungo la strada tra Trento e Arco che porta a Maso Ben, dove le vigne si arrampicano oltre i 700 metri sul livello del mare. È una caratteristica di questo territorio, dove la proprietà si è ridotta spesso a fazzoletti, anche di 5mila metri quadrati.
“Ogni vigneto è inserito nel territorio, e non possiamo trattare le piante con pesticidi ed erbicidi, e poi limitarci ad assicurare il consumatore perché i residui presenti nel vino stanno entro i limiti di legge stabiliti nei protocolli. C’è un mondo vivente sotto i nostri piedi, da salvaguardare”. Luca Pedron riassume così la filosofia sostenibile dell’azienda per cui lavora da quasi 30 anni, che dal 2010 ha avviato un importante progetto di riconversione. L’obiettivo di questo percorso -frutto anche di una collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (ISS), per quanto riguarda i dati relativi alla presenza di residui in bottiglia- per Marcello Lunelli, amministratore delegato delle Cantine Ferrari, è “rivolto alla rigenerazione di un ambiente violentato da decenni di comportamento stressante”.

La riconversione in corso è importante perché investe il 6% della superficie vitata dell’intero Trentino, 600 ettari su 10mila. Oltre alle terre di proprietà di Cantine Ferrari, cento ettari tutti in conversione al biologico, l’introduzione di pratiche sostenibili in vigna riguarda anche i 500 fornitori, che coltivano circa 1.400 appezzamenti, per un totale di altri 500 ettari.
Luca Pedron ha curato la redazione del “Protocollo Ferrari di viticoltura di montagna salubre e sostenibile”, e oggi ne coordina l’implementazione, che si avvale del lavoro di un gruppo di agronomi che -per conto delle Cantine Ferrari- segue l’attività in campagna dei conferitori diretti, alcune centinaia di ettari, e dei soci di cantine sociali.
I controlli rispetto al Protocollo -che è volontario e fa riferimento alla norma UNI 11233, “Sistemi di produzione integrata nelle filiere agroalimentari”- sono garantiti dall’ente di certificazione CSQA, che ogni anno analizza il 20 per cento dei fornitori. “Nel 2014, il 70 per cento degli appezzamenti è stato condotto con un metodo che potrebbe essere definito ‘simil bio’, perché gli unici trattamenti ammessi sono lo zolfo e il rame” spiega Pedron. Nel 2013, il Protocollo aveva riguardato il 38% dell’uva conferita e trasformata dalle Cantine Ferrari.
Solo il 5% dei terreni di proprietà dei conferitori diretti viene ancora diserbato. Nelle proprietà della famiglia Lunelli, che controlla le Cantine Ferrari, invece, tutti i diserbi sono stati eliminati dal 2010, e oggi l’80 per cento delle vigne viene “gestito” con il sovescio, seminando graminacee e cereali, che garantiscono un vigneto vigoroso e -spiega Pedron- “hanno risolto anche i problemi di erosione, che riguardano i vigneti fortemente compattati, dove gli apparati radicali delle piante non si sviluppano, e il terreno non è in grado di assorbire temporali da 40 o 50 millimetri di pioggia in un’ora, sempre più frequenti”. Il terreno, spiega Pedron, “non è un supporto inerte”, perciò è importante ripristinarne la struttura e un adeguato contenuto di humus, fondamentale per trattenere l’acqua e gli elementi nutritivi, per essere meno dipendenti dagli apporti esterni e avere l’imprinting del teritorio sul prodotto finale”. Il supporto viene garantito dalle Cantine Ferrari anche a tutti i conferitori, cui è stata consegnata una copia del Protocollo, che sono invitati a seguire ogni anno otto ore di formazione, ma soprattutto “ricevono” durante l’anno almeno cinque volte una visita degli agronomi dell’equipe coordinata da Pedron. “Una avviene prima del germogliamento, per dare indicazioni in merito al numero di gemme per ettaro. Viene poi calcolata la fertilità, in base al numero di germogli e grappoli. Torniamo a verificare la produttività attesa dopo la fioritura, calcolando il numero di grappoli per vite, e quindi c’è una visita pre-vendemmiale, per controllare lo stato dell’uva” spiega Pedron. L’ultimo passaggio riguarda una campionatura, per determinare il giorno di vendemmia. Fondamentale è la selezione dei grappoli, in quanto l’uva deve arrivare sana allo stabilimento delle Cantine Ferrari.

Sul computer di Luca Pedron c’è una mappa di tutto il territorio trentino, e notizie su ogni singolo appezzamento “legato” all’azienda. È un database che rende possibile informare ogni singolo conferitore tramite un servizio di messaggistica istantanea, ad esempio in caso di piogge improvvise, e permette anche di calcolare -in modo statistico- la resa di ogni singolo vigneto. “Questo percorso si accompagna ad un cambio generazionale all’interno dei consorzi, e anche nei campi. Uno dei passaggi più importanti, in questi anni, è stato quello che ha portato i viticoltori a ‘cambiare’ il proprio modo di stare nel campo -racconta Pedron-. Un vero percorso di sensibilizzazione, svolto anche all’interno del Consorzio di tutela vini del Trentino”.
Lo stabilimento di Cantine Ferrari è alle porte di Trento, ben visibile dall’autostrada A22. Sottoterra si sviluppa per circa 4 ettari, occupate da ben 20 milioni di bottiglie che maturano sui lieviti prima di diventare Ferrari.
L’azienda della famiglia Lunelli nel 2013 ha fatturato 48,7 milioni di euro, ed è una delle realtà vitivinicole più grandi del trentino, e Giulio Ferrari -il fondatore, ai primi del Novecento- è considerato uno dei perfezionatori del metodo classico.
“Non sappiamo se il mercato riconoscerà questo impegno nel biologico” spiega Marcello Lunelli, anche perché l’azienda ha scelto di tenere, almeno per il momento, un profilo basso nella divulgazione: “Non avrebbe nemmeno senso, a livello di marketing -aggiunge Lunelli-, perché il nostro vino base invecchia 3 anni, e le grandi riserve tra gli 8 e i 10 anni. Il biologico non è un’esigenza commerciale, ma un credo aziendale”. Ai produttori che hanno adottato il Protocollo, però, viene già riconosciuto un pagamento differenziato, un premio che può superare il 10 per cento al quintale per chi sceglie di fare biologico. “Ogni ettaro di vigna garantisce un reddito di circa 13mila euro” calcola Pedron. Il vero successo, racconta Lunelli, è “aver portato in cantina uva sana, anche in un’annata complicata come il 2014”. E aggiunge: “Ci vogliono circa cinque anni perché un vignetto si metta in un nuovo equilibrio con l’ambiente che lo ospita, un tempo lungo che presuppone un modo di fare impresa che è rivolto al futuro e alle nuove generazioni”. Il tempo della riconversione. —

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