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Lampedusa, Italia

Sull’isola, porta d’Europa per migranti e richiedenti asilo, riapre il centro di accoglienza, affidato senza gara. E intanto cresce la militarizzazione del territorio —

Tratto da Altreconomia 165 — Novembre 2014

Dal primo ottobre del 2014 il Centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) della Contrada Imbriacola, a Lampedusa, ha un nuovo gestore. È la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia -onlus con sede a Firenze-, chiamata a condurre la struttura per un anno a seguito della burrascosa conclusione della precedente gestione. I fatti risalgono alla fine del 2013, quando alcuni operatori dell’allora cooperativa affidataria (“Lampedusa Accoglienza”, del Gruppo Sisifo) furono ripresi a “disinfettare” gli “ospiti” con degli idranti.

Il Centro dell’isola, che dal punto di vista amministrativo si trova nella provincia di Agrigento, ha 381 posti effettivi e si trova in una gola, a cinque minuti in motorino dal centro cittadino. Quando lo visitiamo mancano pochi giorni al primo anniversario del naufragio del 3 ottobre -furono 368 i migranti che morirono a poca distanza dalla riva-, e sono in corso precipitosi lavori di ristrutturazione di due edifici del Cpsa. La struttura, dunque, è vuota. Due funzionari del ministero dell’Interno si preoccupano del posizionamento di un gonfalone: è in agenda l’arrivo del ministro Angelino Alfano. I militari, invece, pattugliano il cancello d’ingresso, premurandosi che nessuno scatti delle foto. Per farlo, così, siamo stati costretti a raggiungere il Cpsa dall’alto: un percorso tortuoso, che però dà risultati (come dimostra la foto a pagina 28). Esattamente il contrario, invece, è quanto prodotto dall’iter per la richiesta di accesso agli atti inerenti alla procedura che ha portato al successivo affidamento della gestione del Centro alle Misericordie d’Italia, una procedura “negoziata” indetta dalla Prefettura di Agrigento.

“Al fine di poter evadere la richiesta -ha spiegato ad Altreconomia tramite lettera scritta il vice prefetto vicario Alessandra Termini- è necessario […] che si rappresentino le motivazioni attestanti l’interesse diretto […] corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata”. In questa categoria, per quanto è dato capire, non rientra l’interesse giornalistico. E se il funzionario autore della replica ha diffidato chi scrive dal riportare i “chiarimenti” forniti al telefono, il vice presidente nazionale delle Misericordie d’Italia Leonardo Sacco ha accettato di rispondere alle nostre domande.

“La Prefettura di Agrigento -racconta Sacco- ha fatto una trattativa privata, alla quale ci ha invitato con altre sette organizzazioni per presentare una manifestazione d’interesse, cioè un’offerta. Noi eravamo interessati, avendo gestito il centro tra il 2002 e il 2007, e abbiamo partecipato a questa manifestazione insieme ad altri tre soggetti. Nell’esperimento di questa gara la Prefettura ha ritenuto il nostro, fino a 32,95 euro rispetto a una base d’asta di 40 euro, quello maggiormente competitivo”. Questo significa che lo Stato riconoscerà al gestore quasi 33 euro al giorno per ogni ospite.

La struttura di Lampedusa non rientra nell’elenco degli undici Centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio nazionale, dei quali cinque sono quelli attivi (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino, Trapani). Ma è nell’ultimo “Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione in Italia” a cura della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato,datato luglio 2014, che si può trovare una breve nota biografica riguardante i contesti dove ha operato l’organizzazione di Sacco. Nella tabella dedicata ai “gestori”, il Rapporto conta anche l’“ente” Misericordie, accanto al quale si può leggere “Crotone”, un Cie dalla “capienza teorica” di 124 posti nel territorio di Isola Capo Rizzuto (Kr). Due asterischi stanno a significare “chiuso per lavori di ristrutturazione”. Al paragrafo sul centro calabrese si legge: “Il Cie di Crotone è stato chiuso ad agosto 2013 dopo la morte di un giovane migrante e la successiva rivolta dei trattenuti”. E ancora: “Una precedente rivolta aveva dato luogo a un processo conclusosi con un esito da segnalare. Una indiretta ma evidente denuncia delle condizioni ‘illegittime’ e ‘al limite della decenza’ del centro è emersa, infatti, dalla sentenza del giudice di Crotone del 12 dicembre 2012 che ha assolto dall’accusa di danneggiamento e di resistenza a pubblico ufficiale tre cittadini stranieri, un tunisino, un algerino e un marocchino, protagonisti di una rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Isola Capo Rizzuto nel mese di ottobre”.

Leonardo Sacco, però, la relazione della Commissione presieduta da Luigi Manconi non l’ha letta (“nel 2014 il nostro centro era già chiuso”), ma aggiunge: “Non è semplice gestire un centro con delle persone all’interno che devono stare per diciotto mesi chiusi lì dentro. Le mancanze evidenziate dal giudice di Crotone sono manze strutturali, non certo mancanze dovute all’ente gestore”.
In ogni caso, al termine della gestione della Confederazione delle Misericordie (dalla durata come detto di un anno), la Prefettura di Agrigento sarà chiamata, almeno in questo caso, ad indire una gara ad evidenza pubblica per una gestione biennale o triennale.

Se il Centro è in una gola, Porto M, invece, è poco distante dal porto nuovo, al centro di Lampedusa. È un piccolo luogo di ricordo di viaggi e migrazioni  -non è un museo ma una “esposizione degli oggetti dei migranti”, come ci tengono a chiarire sul blog http://askavusa.wordpress.com coloro che l’hanno curata, i membri del collettivo Askavusa, guidati da Giacomo Sferlazzo, che rappresenta un motore civico dell’Isola, organizzatore da sei edizioni dell’ottimo LampedusaInFestival-. Porto M è una stanza che accoglie e raccoglie stoviglie, audiocassette, giubbotti, lattine, scarpe appese alle stringhe, bandierine, pezzi di giornale, vestiti. Non sono oggetti sotto sequestro, destino cui vanno incontro invece le imbarcazioni utilizzate per le traversate, oggi poggiate sul lungo mare, tra i ristoranti turistici e il campetto da calcio in terra battuta: lo ricordano i cartelli della Capitaneria di porto -guardare, riflettere, fotografare, ma non toccare-. Le più importanti testate accorse sull’Isola per la ricorrenza del 3 ottobre hanno piazzato lì cronisti, luci e cineprese.  Un lontano ricordo per il collettivo e per Giacomo, che mentre Ae va in stampa (18 ottobre) racconta l’ultimo capitolo della saga che costringe Lampedusa ad essere prima di tutto un avamposto militarizzato di confine: “Il 16 ottobre sono sbarcati sull’Isola tre camion militari con dei radar che andranno a sostituire quelli collocati a Capo Ponente. La popolazione non è stata avvisata per tempo e le informazioni sono state confusionarie. Certamente non chiarite dalla Conferenza dei servizi del 25 luglio scorso”. Le conseguenze dei radar sono sconosciute: “Abbiamo dato vita ad una raccolta firme per fare sì che l’Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) di Palermo svolga finalmente un esame epidemiologico, per capire se i casi di morti di tumore siano o meno collegati alla presenza delle antenne militari e civili -racconta Giacomo-. Vogliamo sapere che tipo di radiazioni ci sono a Lampedusa”. Non è semplice, ed è un’impresa anche solo elencare le infrastrutture militari già presenti.  “Ci sono 2 caserme dell’aereonautica militare, altrettante della Guardia di finanza e una dei Carabinieri-spiega Giacomo-. E non so so quante vedette tra Gdf, e Guardia costiera. Almeno due sono gli elicotteri militari e 50 i soldati che lavorano alla ristrutturazione della vecchia base Nato. Dopodiché c’è il radar mobile di Cala Grecale e quello di Cavallo Bianco, appena dopo la pista dell’aereoporto”. —

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