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Ddl Madia, addio territorio italiano

Da oggi, "Se il governo vuol fare un’autostrada in un bosco secolare o in un centro storico, lo chiede a qualcuno che è diretto dai prefetti: cioè sostanzialmente a se stesso", così Tomaso Montanari -storico dell’Arte che insegna all’Università di Napoli-, a poche ore dall’approvazione del Senato del provvedimento delega fortemente voluto dal presidente del Consiglio che smantella le Soprintendenze

Il ddl Madia sulla presunta riforma della pubblica amministrazione è legge. Dopo che il Senato della Repubblica ha definitivamente approvato la norma di delega (S.1577-B) -il 4 agosto-, il presidente del Consiglio ha inviato un “abbraccio ai gufi” via Twitter. Sarcasmo che stride con l’accorato appello rivolto a fine luglio da un gruppo di intellettuali -tra cui Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Corrado Stajano, Dario Fo– al presidente della Repubblica e al ministro dei Beni culturali per “fermare il ddl Madia”, e sottoscritto da da più di 23mila persone. "Il più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un Governo della Repubblica -recitava il manifesto a proposito del provvedimento-. Anzi, l’attacco finale e definitivo”.
 
Ad approvazione avvenuta, abbiamo sentito Tomaso Montanari, storico dell’Arte che insegna all’Università di Napoli. Che si dice “molto pessimista”. 
 
Professor Montanari, perché il Ddl Madia rappresenta il "più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un Governo della Repubblica italiana. Anzi, l’attacco finale e definitivo”?
Perché un potere tecnico (quello delle soprintendenze, una sorta di magistratura del territorio e del patrimonio) che rispondeva solo alla legge, alla scienza e alla coscienza da oggi confluisce nel potere esecutivo. Se il governo vuol fare un’autostrada in un bosco secolare o in un centro storico, lo chiede a qualcuno che è diretto dai prefetti: cioè sostanzialmente a se stesso. Addio territorio italiano.
 
È mancato un adeguato dibattito parlamentare e ieri le opposizioni avrebbero garantito il numero legale alla votazione. Come valuta il ruolo del Parlamento in questo caso specifico?
I parlamentari non saranno passacarte delle procure, come ha detto Renzi, ma certo sono passacarte del governo. Tanto vale chiudere le camere: basta e avanza Palazzo Chigi.
 
Nell’appello cui anche noi di Ae abbiamo aderito si parla di un "disegno politico". Esistono altre “parti” di questo progetto, oltre allo smantellamento delle soprintendenze?
Lo smantellamento della scuola pubblica, poi quello dell’università (solo rimandato), e già si annuncia lo sventramento della sanità. Il disegno è quello neoliberista fuori tempo massimo: morte allo Stato. Sul muro dell’ultima Leopolda c’era scritto "Lo Stato non è la soluzione, è il problema". Era una citazione da Reagan, ma la fonte non c’era.
 
Già un anno fa aveva evidenziato il nesso tra gli attacchi di matrice berlusconiana alla “metastasi” rappresentata dai pubblici ministeri e quelli renziani contro i soprintendenti. Diceva: "Non vorrei che ora Renzi ci impedisse di dire e denunciare quali sono i gravissimi limiti delle soprintendenze, perché l’urgenza è difenderle dallo smontaggio e dall’assalto alla diligenza. Sarebbe un pessimo servizio”. Quel pessimo servizio è stato compiuto. Ma quali sono i gravissimi limiti e come restituire respiro a questi organi?
Proprio come i professori universitari, i soprintendenti hanno tradito la loro missione: inginocchiandosi allo strapotere del mercato e della sua ancella, la Politica. Non è bastato, e ora vengono sgozzati sullo stesso altare a cui offrivano incensi. Una sentenza recentissima del Consiglio di Stato (la 3652 del 2015, sesta sezione) ha riformato gli atti con cui una soprintendenza aveva consentito che un elettrodotto sfigurasse una valle, perché: "il Ministero invero, anziché occuparsi, come debito suo compito, di curare l’interesse paesaggistico (e di valutare, quindi, in termini non relativi ad altri interessi l’impatto paesaggistico dell’intervento), ha illegittimamente compiuto una non consentita attività di comparazione e di bilanciamento dell’interesse affidato alla sue cura (la tutela del paesaggio) con interessi pubblici di altra natura e spettanza (essenzialmente quelli sottesi alla realizzazione dell’elettrodotto e, dunque, al trasporto dell’energia elettrica)". E succede sempre più spesso.
 
Il ministro Franceschini non si è opposto “con ogni mezzo” al Ddl, come l’appello si augurava. Dal suo punto di vista perché? 
Posso essere sincero? Perché sono, dolorosamente, arrivato alla conclusione che non gliene frega niente della tutela. Ha fatto il poliziotto buono, opponendosi a Renzi poliziotto cattivo: in realtà credo fosse una recita. L’unica priorità è la carriera politica, l’unico modo per salvarla è obbedire.
 
Ora l’iniziativa si sposta sui decreti attuativi. Qual è la strategia più efficace?
È una legge delega: se Franceschini avesse un peso, potrebbe convincere Renzi a non avvalersi della delega, o ad avvalersene solo in parte. Ma non credo che abbia alcun interesse ad esporsi per il “paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione” (art.9 Cost.): molto meglio baloccarsi con l’arena del Colosseo. Sono molto, ma molto, pessimista.

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