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Reportage

Le rive del Po

Viaggio sul grande fiume, tra Lombardia ed Emilia-Romagna. Le sfide future per una provincia unica, un ipotetico e irripetibile “luogo in-comune”, tra Reggio Emilia, Mantova, Parma e Cremona. Il nodo della navigazione: una chiatta potrebbe trasportare 1.350 tonnellate di merce per volta, l’equivalente di una cinquantina di tir 

Tratto da Altreconomia 178 — Gennaio 2016

“Dunque il Po comincia a Piacenza, e fa benissimo perché è l’unico fiume rispettabile che esista in Italia: e i fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché l’acqua è roba fatta per rimanere orizzontale, e soltanto quando è perfettamente orizzontale l’acqua conserva tutta la sua naturale dignità”. Così scriveva Giovannino Guareschi nella prefazione di “Don Camillo”. E per partire, per conoscere il Grande fiume, prendiamo per buona l’idea dello scrittore-giornalista parmense, che dal Po ha preso tanta ispirazione. Il cuore di questo gigante d’acqua è quell’angolo di Pianura Padana dove si incrociano sul pelo dell’acqua quattro province: Reggio Emilia, Mantova, Parma e Cremona.
Girovagando curiosi in queste lande ci si rende presto conto che il fiume è un confine solo sulle cartine, ma non per gli abitanti che vivono sulle sue rive. Le problematiche della vita di chi vive a stretto contatto col fiume -come la nebbia che spesso avvolge la Bassa, ovattandola e creando artistici panorami- creano di fatto una provincia italiana a sé stante, che segue il corso del Po, fino al Delta, accomunando paesi e abitanti, anche se appartengono a regioni diverse e parlano dialetti diversi.

Culture, tradizioni, costumi, economia: tutto lega in un ipotetico e irripetibile “luogo in-comune”, un territorio ricco di peculiarità introvabili in altre parti d’Italia. Il corso del fiume crea ambienti unici dal punto di vista naturalistico, mentre la ricchezza delle campagne bagnate dalle acque del Po determina il fiorire di conoscenze agro-alimentari che costituiscono un patrimonio gastronomico unico. E poi il fiume stesso, con il fluire della corrente, che aveva ispirato il regime del Ventennio in merito alla navigazione fluviale, con Benito Mussolini che voleva realizzare un canale navigabile da Cremona a Rogoredo, alle porte di Milano, dove ancora oggi una zona chiamata “Porto di Mare” ricorda l’intenzione di trasportare merci e passeggeri dal capoluogo meneghina all’Adriatico.

Lentamente, perché anche il turismo lungo il Grande fiume non può correre, ma deve adeguarsi al placido scorrere dell’acqua. Come dicono da queste parti, “tolà su dolsa” (prenderla su dolce), pedalando su argini maestri e antiche alzaie ombreggiate dai pioppi cipressini, che con le loro interminabili file di colonne verdi indicavano ai naviganti il canale navigabile del fiume; ora non ci sono più uomini e cavalli, o buoi, a trascinare i navigli che dovevano risalire controcorrente il fiume e le strutture dove una volta questi viaggiavano sono state trasformate in piste ciclabili che corrono in riva al Grande fiume. Un progetto del Politecnico di Milano prevede di costruire VenTo, una dorsale ciclistica lunga 679 chilometri da Venezia a Torino, con un costo di circa 80 milioni di euro, che equivale alla realizzazione di 2 chilometri d’autostrada, per poter andare in bicicletta da piazza San Marco alla Mole Antonelliana, interconnettendo parchi, aree naturalistiche e città d’arte straordinarie: Ravenna, Ferrara, Mantova, Parma, Cremona e le tante piccole meraviglie incastonate sulle rive del Po, come San Benedetto Po, Guastalla o Sabbioneta, per citarne alcune. Gemme non solo storiche e architettoniche: il Po ha ispirato artisti di varie discipline, come il già citato Giovannino Guareschi, oppure il luzzarese Cesare Zavattini (sceneggiatore di “Ladri di biciclette”) o il parmigiano Attilio Bertolucci, poeta e padre dei registi Bernardo e Giuseppe.
In ambito pittorico, parlare di golena e di Po significa evocare i quadri del gualtierese (d’adozione) Antonio Ligabue, a cui recentemente una mostra dal titolo “Arte & Follia” ha associato un altro pittore del Po, il borettese Pietro Ghizzardi.

E nella Boretto di Ghizzardi, denominata “Lo smeraldo del Po”, è attraccata la più grande motonave da crociera fluviale battente bandiera italiana, la Stradivari. Il suo armatore, Giuliano Landini -ex campione mondiale di motonautica-, ha intrapreso la sfida del coniugare navigazione fluviale, buona cucina e cultura del fiume. Sulla Stradivari trasformata in ristorante navigante è possibile organizzare banchetti e cerimonie, sono state girate puntate di programmi dedicati alla cucina e vengono organizzati convegni e spettacoli. Landini non dimentica, però, il motivo per cui la Stradivari è stata varata, nel 1976: la navigazione del Po, con il capitano che conduce abitualmente la motonave nella laguna di Venezia. “Nel 2015 sono salite a bordo più di 5mila persone, ma la potenzialità di una struttura del genere sarebbe aperta al triplo dei turisti –-spiega Landini-: per il 2016 ci stiamo già organizzando, per offrire la fruizione di realtà artistiche e paesaggistiche che non sono delocalizzabili. Le istituzioni devono capire che sono queste le realtà italiane da promuovere, concentrate in un centinaio di chilometri tra Cremona e Mantova: il Po non puoi portarlo da un’altra parte, come un’azienda qualsiasi che la porti in Cina”. In passato alcune società europee avevano intrapreso l’avventura delle crociere fluviali, come succede negli altri grandi fiumi europei. Si chiamavano Michelangelo, Venezia, Queen River le grandi navi che scorrazzavano sul fiume turisti americani, russi e cinesi; da Venezia a Cremona, facendo sosta a tutti gli attracchi che meritavano una visita. Spesso erano soste gastronomiche, per assaporare il Parmigiano Reggiano o il Culatello di Zibello, che proprio grazie alle nebbie del Po stagiona in un modo inconfondibile.

La navigazione è la vera croce e la delizia del Po. Agli inizi del Novecento si doveva decidere come governare la corrente del fiume, per permetterne la navigazione commerciale. Le possibilità erano due: la bacinizzazione oppure la creazione dei “pennelli”, scogliere artificiali che facendo rimbalzare la corrente da una riva all’altra la incanalano permettendole di ricavarsi con la forza del suo scorrere un canale nel letto sabbioso del fiume. Si optò per la seconda possibilità, mentre quasi tutti i grandi fiumi europei sceglievano invece di costruire dighe e bacini con le quali rendere navigabili i corsi d’acqua. Il Po paga oggi lo scotto di una scelta non proprio esatta. “La navigazione fluviale del bacino del Po è marginale -spiega l’ingegner Ivano Galvani, responsabile del settore navigazione interna dell’Agenzia interregionale del Po- con circa 400mila tonnellate annue di materiale trasportato, a fronte di un milione di tonnellate degli anni Novanta e 3 milioni degli anni Settanta e Ottanta. La Regione Emilia-Romagna ha fatto un bando per la gestione delle strutture e per la concessione di benefici finalizzati a promuovere il trasporto fluviale, ma è andato deserto. Non c’è più un contatto tra il fiume e gli apparati logistici che effettuano la movimentazione delle merci, e il fiume è abbandonato. Rimane qualche traffico sui canali artificiali, tra Mantova e Rovigo, ma è davvero cosa di poco conto”. La navigazione si è attestata a Cremona, dove nel progetto del canale navigabile Cremona-Milano doveva sorgere un’importante struttura portuale nel cuore della produttiva Pianura Padana. Nel 2000, però, il “Consorzio del Canale Navigabile Milano-Cremona-Po” è stato dichiarato un ente inutile, e quindi sciolto. Oggi la navigazione del Po è garantita -ma non per 365 giorni all’anno a causa dei “bassi fondali”- solo da Cremona al mare. Eppure, il Sistema idroviario padano-veneto costituisce con il Po e  alcuni canali navigabili -tra gli altri l’Idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco, o la Ferrara-Ravenna- una rete di possibile  trasporto fluviale che collega le sponde emiliane, Cremona, Mantova, il basso Veneto al mare Adriatico e alla laguna di Venezia. Se si aggiunge il tratto alto del Po, con la sua navigazione locale, si arriva a una struttura lunga 987 chilometri.

Ma cosa si potrebbe trasportare? Prodotti siderurgici, piastrelle, inerti, granaglie, fertilizzanti, container, prodotti chimici e GPL. La potenzialità dell’intero sistema è di 16 milioni di tonnellate. Trasportare merci sul fiume permette un enorme risparmio di carburante: una chiatta trasporta 1.350 tonnellate di merce per volta, l’equivalente di una cinquantina di TIR. E, a parità di distanza percorsa, consuma meno carburante. Il trasporto fluviale però non decolla: a Pieve Saliceto, sulla sponda reggiana, è stato inaugurato nel 2006 un porto commerciale che, secondo i progetti, doveva permettere il transito di 700mila tonnellate di merce. Le aziende della zona -che vede la produzione di componenti per l’oleodinamica, oltre che delle ceramiche nelle vicine Rubiera e Sassuolo- avrebbero potuto affidare i propri trasporti alle acque del Po, ma da dieci anni a questa parte nessuna nave ha attraccato al porto di Pieve Saliceto, nonostante l’anno scorso la Regione abbia promesso incentivi per 800mila euro in tre anni a chi decideva di dedicarsi al trasporto fluviale. Il costo per la realizzazione del “Terminale dell’Emilia Centrale” sul Po si era attestato intorno ai 17 milioni di euro: soldi pubblici semplicemente buttati, oltre alla cementificazione (inutile?) di alcune centinaia di metri di riva.
In compenso, per un certo periodo molte navi hanno navigato lungo il medio corso del Po: erano le draghe che nottetempo effettuavano escavazioni abusive nell’alveo del fiume, danneggiandone gravemente l’equilibro ambientale.

Dagli anni Ottanta, la città di Reggio Emilia ha visto un’esplosione immobiliare senza precedenti. Un decennio dopo, gli abitanti del capoluogo passavano da 130mila a 170mila. Ma non si sono costruiti solo appartamenti. Anche strade, la ferrovia TAV Milano-Bologna, la stazione Mediopadana dell’Alta velocità. E per costruire serve cemento ma anche sabbia, e dove la si prende la sabbia se non in riva al Po. Le cave sono aree concesse dalle pubbliche amministrazioni a società che si occupano della loro coltivazione, per estrarre un quantitativo predefinito di sabbia. Ma la sabbia estratta in cava deve essere lavorata e resa idonea all’utilizzo in edilizia, e la lavorazione ha un costo, a cui si deve aggiungere il pagamento delle tasse di concessione. Scavare direttamente nell’alveo del fiume, invece, ha pochissimi costi, e il prodotto è già stato “lavorato” dalla corrente. Così si realizzano guadagni esorbitanti, drogando il mercato; ma quando a costruire appartamenti, strade e capannoni sono imprese che la recente inchiesta “Aemilia” ha bollato come contigue alla ‘ndrangheta, ecco che si crea un problema di legalità. E anche le imprese “Made in Reggio Emilia” arrivano a essere accusate di avere collegamenti con la criminalità organizzata, ricevendo interdittive anti-mafia che bloccano la possibilità di partecipare alla ricostruzione del dopo terremoto del 2012, e in ogni caso impediscono a soggetti imprenditoriali ritenuti in contatto con la criminalità organizzata di partecipare a gare d’appalto per l’assegnazione di lavori pubblici.

Per quanto riguarda le escavazioni illegali, si parla di migliaia di tonnellate, con il letto del fiume Po che è sprofondato di 4 metri mettendo allo scoperto le fondamenta di manufatti come ponti e banchine. Un danno di cui si sono rese complici amministrazioni che hanno reso possibile la pratica delle escavazioni abusive, concedendo cave che poi venivano utilizzate per giustificare il trasporto della sabbia sulle draghe, senza che nessuna forza di polizia fosse in grado di capire se si trattava di inertiabusivi o estratti regolarmente. È un Grande fiume ammalato, quello osservato dalle rive reggiane e mantovane, parmensi e cremonesi; un corso d’acqua che sembrerebbe destinato al collasso. Ma Guareschi, dal campo di prigionia in cui era stato internato durante la Seconda guerra mondiale, scriveva: “Non muoio neanche se m’ammazzano”. Anche per il Po è così. Nonostante le violenze che l’uomo sta infliggendo al fiume. —

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