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Le sei multinazionali che controllano il 63% del mercato dei semi

Nel 1981, le ditte sementiere erano 7mila. Trent’anni dopo, il settore è concentrato in poche mani. Tra questi ci sono quelle di Dow e DuPont, che a dicembre 2015 hanno avviato un processo d’integrazione, mentre all’inizio del 2016 la cinese ChemChina ha offerto 42,8 miliardi di dollari per acquisire la svizzera Syngenta: se queste operazioni andranno a buon fine, due sole compagnie deterranno più della metà del comparto agrochimico

Tratto da Altreconomia 180 — Marzo 2016

Portano gli stessi colori nei loro loghi: il bianco e il rosso, con l’unica differenza della forma, squadrata per l’una, ovale per l’altra. Due colossi dell’agroindustria statunitense, Dow e DuPont, hanno avviato nel dicembre 2015 una fusione tra uguali: la nuova società -che dovrebbe essere ufficializzata a metà di quest’anno- si chiamerà DowDuPont e avrà un valore di mercato di 130 miliardi di dollari (www.dowdupontunlockingvalue.com).

Un’unione pensata (se l’Antitrust -l’Autorità garante della concorrenza e del mercato- lo consentirà) per generare tre nuove società, indipendenti e quotate in borsa: una dedicata all’agricoltura, la seconda alla “scienza dei materiali”, la terza ai “prodotti speciali”.
Dopo la fusione, DowDuPont dovrebbe mantenere due headquarter: si devono percorrere 690 miglia (10 ore di strada in auto) per spostarsi dall’attuale sede di Dow a Midland, nel Michigan, a quella di DuPont a Wilmington, nel Delaware. La Dow Chemical Company -guidata dal 2004 dall’ingegnere chimico Andrew Liveris, futuro presidente della nuova società- è la seconda più grande impresa chimica al mondo dopo la tedesca Basf, leader nei settori delle materie plastiche, materiali avanzati e dell’agrochimica. 
L’amministratore delegato di DowDuPont sarà invece l’imprenditore americano Edward Breen di DuPont, già presidente di Tyco International, multinazionale (con sede legale in Svizzera) che opera nel campo della sicurezza. DuPont è leader nel campo dell’agroindustria con il marchio di sementi ibride Pioneer: un comparto che ha fruttato all’azienda vendite per 11,3 miliardi di dollari nel 2014. Sommati ai 7,3 miliardi realizzati da Dow nello stesso settore, avremmo la più grande ditta sementiera al mondo, con un valore complessivo di 19 miliardi di dollari (Monsanto vale oggi 15 miliardi): la “compagnia leader nell’agricoltura globale” -nelle intenzioni degli imprenditori di DowDuPont-, che accorpa tutta la filiera, unendo “la forza di Pioneer nel settore delle sementi, a quella di Dow nella chimica”. 
 
Ma all’inizio del 2016 un’altra importante trattativa ha modificato ancora una volta gli assetti dell’agrobusiness globale: la China National Chemical Corporation -detta “ChemChina”-, la più grande impresa chimica cinese, ha avviato l’acquisizione della svizzera Syngenta, con un’offerta di 42,8 miliardi di dollari (la più alta mai fatta da un’azienda cinese verso l’estero, www.syngenta-growth.com). Dal cuore della Cina, l’azienda di proprietà dello Stato si sta espandendo sotto la guida di Ren Jianxin, con importanti acquisizioni estere: nel 2005 la francese Adisseo (alimenti per animali); nel 2011, il 60% dell’israeliana Makhteshim Agan (oggi Adama) -sesto produttore mondiale di pesticidi- e la norvegese Elkem (silicone); nel 2015 l’italiana Pirelli; a inizio 2016, il gruppo tedesco KraussMaffei (macchine per materie plastiche) e il 12% del gruppo energetico svizzero Mercuria. L’offerta fatta a Syngenta -multinazionale svizzera dedicata esclusivamente all’agroindustria, guidata dal 2013 da Michel Demaré (18 anni in Dow)-, ha sbaragliato la concorrenza, in particolare quella di Monsanto, che nell’agosto 2015 -dopo ripetuti fallimenti- aveva rinunciato all’acquisizione della multinazionale di Basilea. 
 
Così, se queste operazioni andranno a buon fine, due sole compagnie -Syngenta-ChemChina e DowDuPont- deterranno più della metà del comparto agrochimico (il 51,4%, basandosi sulle vendite del 2014). Come scrive l’Etc Group, nel 1981 erano più di 7mila le ditte sementiere nel mondo. A trent’anni di distanza, solo 6 multinazionali -Monsanto, Syngenta, Dow, Dupont, Bayer e Basf- controllano il 63% del mercato globale dei semi e il 75% di quello dei pesticidi. “La popolazione mondiale supererà i 9 miliardi nel 2050, creando sfide senza precedenti per l’uomo e per il pianeta. Sappiamo che possiamo trovare soluzioni a queste sfide”: lo si legge sul sito di DuPont, ma è un mantra ricorrente in tutte le pagine delle grandi ditte dell’agrobusiness. Ecco perché questo monopolio si sta concentrando sempre più: “Le ‘grandi 6’ crescono più velocemente, per garantire al mondo la sicurezza alimentare che chiede mentre è in balia dei cambiamenti climatici”, commenta l’Etc Group. Con queste fusioni, metà del mercato resterebbe in mano a sole tre multinazionali: DowDuPont, ChemChina-Syngenta e Monsanto controllerebbero il 55% della vendita globale delle sementi; ChemChina-Syngenta, Basf e Bayer avrebbero in mano il 51% dei pesticidi.
 
Il dibattito su chi controlla le sementi globali ruota attorno a due temi principali, spiega Riccardo Bocci di Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) e Rete Semi Rurali. Il primo, è quello della proprietà intellettuale dei semi, i brevetti, che sono concessi dall’European patent office (Epo), con sede a Monaco di Baviera. I brevetti, nati per i prodotti chimici e meccanici, oggi possono essere depositati anche su piante e animali. La campagna europea “No patent on seeds!” (no-patents-on-seeds.org), promossa da alcune organizzazioni non governative, si inserisce in questo dibattito chiedendo l’effettiva applicazione della Direttiva europea 98/44/CE sui brevetti, contro la brevettabilità di varietà, piante e animali. “La Direttiva, infatti, escluderebbe dalla brevettabilità le varietà vegetali, ma il preposto ufficio europeo, sotto le pressioni delle multinazionali, ha riconosciuto oltre 200 brevetti su specie vegetali riprodotte con metodi convenzionali di miglioramento genetico e circa 1.000 altre richieste sono in attesa di concessione”, spiega Riccardo Bocci. Oltre a valere un giro d’affari di 1,5 miliardi di dollari (2013), i brevetti “stanno diventando uno strumento per l’appropriazione indebita delle risorse agricole, mettendo a rischio la sovranità alimentare”, spiega Bocci. Per esempio, grazie al brevetto ottenuto da Syngenta sul peperone e sul suo utilizzo “come prodotto fresco, tagliato o lavorato”, la multinazionale “può di fatto impedire a chiunque di coltivare o raccogliere questo peperone, venderlo o usarlo per future selezioni”, osserva Christoph Then, coordinatore della coalizione “No Patents on Seeds!”.
L’altro passaggio, la nuova legislazione sementiera per l’Europa, è fermo dopo che nel maggio 2013 era stato aperto in Parlamento europeo il dibattito sul nuovo regolamento. Erano stati fatti dei passi avanti (ne abbiamo scritto nel numero 156 di Ae): “dalla possibilità di scambio dei semi accordata anche a chi non pratica per professione la riproduzione, vendita o moltiplicazione del seme, alle deroghe riconosciute a specifiche varietà ‘di nicchia’ prima costrette a seguire modelli di filiera standardizzati”; ma poi dalla Commissione europea non è arrivata nessuna decisione definitiva. “Come movimento europeo, con il coordinamento Let’s liberate diversity (liberatediversity.org), stiamo chiedendo maggiori aperture e possibilità per l’agricoltura su piccola scala”, spiega Riccardo Bocci. In questa direzione, “l’apertura più recente è venuta in materia di cereali dalla Commissione nel 2014”, con una decisione che “prevede alcune deroghe per la commercializzazione di popolazioni delle specie vegetali frumento, orzo, avena e granturco”, consentendo la vendita del seme per usi sperimentali.
 
Proprio a partire dai cereali e dalla concentrazione di queste risorse alimentari nelle mani di pochi, Aiab ha lanciato all’inizio dell’anno la campagna “Coltiviamo biodiversità, bene comune”. L’iniziativa prevede la distribuzione agli agricoltori di miscugli di sementi -mix di tante varietà diverse di specie diverse di semi (orzo e grano)-, ottenuti dalla selezione partecipata condotta in primis dal professor Salvatore Ceccarelli. “La biodiversità non è né stabile, né omogenea -spiega Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab-, poiché le piante cambiano di anno in anno, a seconda del clima e degli ambienti dove sono coltivate. Se biodiversità e agricoltura biologica sono un binomio inscindibile, è fondamentale in questo incrocio il ruolo degli agricoltori, veri custodi della sovranità alimentare”. Il progetto vuole quindi riportare al centro i contadini, partendo dalla coltivazione di miscugli di cereali -“i più facili da reperire”-, e proseguendo poi con altre varietà di colture. Ciascuno può sostenere la campagna tramite la piattaforma www.produzionidalbasso.com, che mira a raccogliere i primi 50mila euro in 4 mesi, “per sostenere l’avvio del progetto e il supporto tecnico necessario agli agricoltori (che devono essere soci Aiab, ndr) in questa prima fase, per focalizzare le loro esigenze”. Quindi, dall’autunno 2016, saranno distribuiti i miscugli, per rimettere a dimora nei campi la biodiversità. 

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