Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Finanza / Attualità

Airbnb ha dato i numeri, ma non tutti

Secondo la multinazionale degli "alloggi condivisi", nel 2015 gli host italiani hanno "guadagnato" 394 milioni di euro. Ciò significa che le attività nel nostro Paese hanno garantito alla società Airbnb Ireland, che incassa le commissioni, ricavi stimabili tra i 35,4 e i 59,1 milioni di euro. Airbnb Italia srl, però, ha pagato al fisco meno di 70mila euro in due anni

“L’effetto Airbnb vale 3,4 miliardi, redditi per le famiglie e centomila posti di lavoro” (Il Sole 24 Ore); “Il sistema Airbnb vale 3,4 miliardi di euro in Italia (e chi affitta guadagna in media 2.300 euro)” (La Stampa); Boom Airbnb in Italia, impatto su economia 3,4 miliardi (AGI): l’11 maggio scorso, per la prima volta, Airbnb ha organizzato un evento istituzionale nel nostro Paese, e ha presentato al pubblico il rapporto “Fattore sharing”.
Alcuni tra i dati diffusi sono senz’altro significativi: nel 2015, 3,6 milioni di ospiti hanno usato Airbnb per viaggiare in Italia, e 82.900 host italiani hanno accolto ospiti nelle loro case; in media un host “guadagna” 2.300 euro all’anno, condividendo il suo alloggio per 26 notti; il 73% degli annunci riguarda un’intera casa o un appartamento, e non le singole stanze.
Il rapporto calcola inoltre come la community di Airbnb abbia contribuito nel 2015 a un beneficio economico complessivo di 3,4 miliardi di euro, pari allo 0,22% del prodotto interno lordo (ed è stato il dato più ripreso dai media). Questo valore tiene conto, ad esempio, del numero di cene consumate nei ristoranti e delle spese fatte nei negozi di quartiere, quindi -al netto della decisione di dormire presso un host di Airbnb, che non ci dice se quel turista ha scelto di soggiornare in Italia perché era possibile farlo grazie ad Airbnb- non rappresentano un vero “valore aggiunto” per l’economia.
Fin qui, i numeri “forniti” da Airbnb. Poi ci sono quelli che mancano, e che sarebbe interessante vedere integrati nel report. 
L’azienda spiega, ad esempio, che l’87% degli host è presente sulla piattaforma con 1 o 2 annunci, che il 9% ha 3 o 4 annunci, e che appena il 4% ha più di 4 “listings”.
Sarebbe interessante, però, se l’azienda chiarisse quanti siano in assoluto gli annunci da parte dei soggetti che appartengono a questo 4%, dato che come Altreconomia abbiamo contato host con più di 400 annunci. A questo dato potrebbe accompagnarsi quello che ne definisce l’incidenza in percentuale di questi host sul numero totale degli annunci italiani, per capire se la piattaforma è utilizzata principalmente come piattaforma di condivisione di alloggi o da operatori professionali che vi si appoggiano perché è ormai diventata una vetrina imprescindibile.
“Fattore sharing” evidenzia come gli host in Italia abbiano “ricavato 394 milioni di euro durante lo scorso anno, accogliendo ospiti nelle proprie case”. E siccome “le commissioni pagate dai primi e dai secondi, tra il 9 e il 15% di ogni transazione, rappresentano i ricavi della società che gestisce il portale”, come abbiamo scritto su Altreconomia 178 (gennaio 2016), le attività italiane hanno portato alla società Airbnb Ireland (quella verso la quale sono triangolati gli incassi) ricavi stimabili in almeno 35,46 milioni di euro, e fino a 59,1 milioni di euro.
Airbnb Italia srl, però, ha fatturato nel 2015 (ultimo bilancio consulato) 1,56 milioni di euro, in crescita del cinquanta per cento rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno l’azienda ha pagato 45.775 euro di imposte sul reddito, mentre nei due anni precedenti ne aveva corrisposte -complessivamente- meno di 70mila euro.
E, ancora: come viene calcolata, e pagata, l’imposta sul valore aggiunto, che per il settore turistico vale il 10%?
Se la base imponibile fosse una somma tra quanto ricavato degli host e da Airbnb Ireland, sarebbero più di 40 milioni di euro all’anno; se fosse da calcolare soltanto in percentuale sul reddito professionale dell’intermediario, sarebbero comunque tra i 3,5 e i 5,9 milioni di euro.
All’evento romano c’era anche il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, che ha ricordato come Airbnb e settore alberghiero -in rotta di collissione con la piattaforma on line, come sottolineano molti interventi di Federalberghi- siano “due sistemi diversi che si possono integrare, e che possono convivere in un Paese in cui i numeri del turismo crescono”; “vogliamo dare delle regole, senza ingabbiare” ha ricordato il ministro (nella foto sotto, stringe la mano al country manager di Airbnb Italia srl, Matteo Stifanelli).
All’inizio di maggio è iniziato, alla Camera, la discussione della legge sulla sharing economy, che vede come prima firmataria Veronica Tentori del PD. All’articolo 2 spiega che “sono escluse le piattaforme che operano intermediazione in favore di operatori professionali iscritti al registro delle imprese”.
Su Airbnb, oggi, numerosi operatori professionali iscritti al registro delle imprese sono presenti “per interposta persona”, ad esempio facendo figurare come host un proprio dipendente. Che cosa accadrebbe in questi casi?
“Ritengo che Airbnb, come piattaforma che permette all’utenza di mettere a disposizione un immobile occasionalmente, rientri pienamente nelle definizione dell’articolo 2 -spiega Tentori-. Il testo individua anche modalità puntuali per la registrazione degli host, che devono fornire anche il proprio codice fiscale: questo permette di identificare l’utente, e ci serve anche per andare ad intervenire sulla fiscalità legata alle attività di sharing economy“.
“Al momento, il confine tra attività professionale e occasionale è proprio l’aspetto fiscale“, continua Tentori, facendo riferimento all’articolo all’articolo 5 della proposta di legge, che fissa a 10mila euro il reddito massimo che garantisce una forma di agevolazione, con una flax tax al 10 per cento: ai dipendenti di un operatore professionale, non converrà più “prestare” il proprio nome al datore di lavoro, perché poi con la tracciabilità fiscale su quei redditi dovrà pagare le tasse. “Un altro ‘confine’ più specifico, per gli operatori professionali, andrà poi individuato dalle norme di settore: la nostra, però, è una legge quadro, che definisce una cornice entro cui muoversi”.
Sempre all’articolo 5, la legge chiede ai “gestori aventi sede o residenza all’estero devono dotarsi di una stabile organizzazione in Italia”. È il caso, appunto, di Airbnb. “Questa frase è stata inserita per portare all’attenzione del dibattito anche quel tema, che non riguarda solo le piattaforme di sharing economy ma tutte le grandi piattaforme on line. Questo è, però, un tema da affrontare in sede comunitaria, che oggi prevede la libertà di stabilimento. Abbiamo voluto inserirlo, come tema ‘politico’: siamo però consapevoli che bisognerà coordinarsi con le norme comunitarie”.
“Fattore sharing” è stato elaborato da Sociometrica, società di cui è direttore l’economista Antonio Preiti. Sul suo blog sull’Huffington Post, in un articolo dedicato al “fenomeno Airbnb”, definisce le tre caratteristiche dell’azienda: “libertà, semplicità e lealtà”. Ci chiediamo se quest’ultimo valga anche nei confronti dell’Agenzia delle entrate.
Le foto sono tratte dal sito di In-Rete, la società di relazioni istituzionali che ha organizzato l’evento romano di Airbnb
© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.