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Ambiente

La Croazia affonda l’Adriatico

Il governo del Paese ha messo a bando 29 licenze per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi di fronte alle coste italiane. Permessi che potrebbero aprire a uno sfruttamento di giacimenti offshore per 25 anni. Una decisione che mette a rischio ogni azione dell’Italia per tutelare l’ambiente marino

La Croazia ha deciso che 29 fette di mar Adriatico saranno destinate all’attività petrolifera. Lo ha comunicato la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo economico, spiegando che il ministro dell’Economia di Zagabria, Ivan Vrdoljak, ha ufficializzato l’apertura di una vera e propria asta finalizzata all’assegnazione delle licenze per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi nella parte di mare prospiciente le coste del Paese. Il bando, secondo fonti governative, metterebbe sul piatto 8 aree individuate nell’Adriatico settentrionale e 21 nell’Adriatico centrale e meridionale, con dimensioni tra i mille e i 1.600 chilometri quadrati.

Una procedura di assegnazione da non sottovalutare, perché comporterebbe uno sfruttamento marino per i prossimi 25 anni. L’annuncio del ministero dello Sviluppo economico è arrivato appena 2 giorni dopo l’approvazione – da parte del Senato – della Risoluzione n. 52 contenente due ordini del giorno che impegnano  l’esecutivo ad effettuare una “ricognizione della disciplina in materia (attività di ricerca ed estrazione in mare, ndr)”, a sospendere “le nuove attività concessorie entro 12 miglia dalle linee di costa e dalle aree marine e costiere protette”, ad incrementare le “royalty fino al 50% in funzione della produttività degli impianti per individuare misure compensative a favore delle comunità interessate” e – infine – a promuovere “una comune strategia con tutti gli altri Paesi del Mediterraneo per una severa regolazione dello sfruttamento di giacimenti sottomarini di idrocarburi liquidi”.

Non una rivoluzione, ma una sorta di ottimizzazione delle attuali regole, come già avvenuto – qualche mese fa – con la rimodulazione delle aree marine italiane aperte a prospezione e ricerca di idrocarburi.
Sul piatto della bilancia dovrebbe esserci anche l’urgente discussione sul corretto recepimento della nuova Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi del 12 giugno 2013, che modifica la Direttiva 2004/35/CE. Perché, oggi, alla luce della decisione del governo croato di aprire la corsa al petrolio e al gas nel proprio sottofondo marino, l’Italia è esposta ad un rischio da non sottovalutare, che potrebbe invalidare qualsiasi norma di tutela nazionale. La Croazia, Paese frontaliero, ha avviato una liberalizzazione del settore – finora in mano alla monopolista Ina, compagnia nazionale – discutendo della semplificazione delle procedure burocratiche indispensabili per l’ottenimento dei permessi di ricerca, ponendo le basi di un nuovo appetibile Eldorado per le compagnie. Il ministro dell’Economia, Ivan Vrdoljak, ha dichiarato che “lo Stato croato potrebbe ricavarne miliardi di dollari”.

Il tema della sicurezza, pertanto, diventa stringente. L’Italia, pur di scongiurare attività nel proprio mare, potrebbe decidere di chiudere un occhio sulle azioni dei dirimpettai o discutere su confini e competenze, cercando di inserirsi nell’affare. Sta di fatto che la spartizione del mar Adriatico – con input dal versante croato – entrerebbe in conflitto con la posizione assunta lo scorso anno dai Consigli regionali di Veneto, Abruzzo, Molise, Marche e Puglia, che spingono verso la proposta di una legge alle Camere che vieti ricerche di petrolio e gas. La decisione del governo croato sarebbe in totale contraddizione con le linee guida tracciate dalla Commissione europea su una nuova politica marittima per il mar Adriatico ed il mar Jonio, fondata su “un’economia blu rafforzata, un ambiente marino più sano, uno spazio marittimo più sicuro e attività di pesca responsabili”, nonché “preservare gli habitat marini e garantire lo sviluppo sostenibile”, sulla promozione e sulla tutelae del “turismo costiero e marittimo [per] creare nuovi posti di lavoro e nuove opportunità commerciali nel settore dell’acquacoltura, ridurre i rifiuti marini”. Impegni che anche la Croazia ha firmato.

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