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I movimenti sociali verso Rio+20

Si è appena concluso l’ultimo formal-informal meeting di New York, nella trattativa verso il Summit di Rio+20, e già le delegazioni governative hanno fissato un nuovo appuntamento per fine maggio, nel tentativo di trovare una quadra prima del Vertice di giugno. Tra veti incrociati, concetti stravolti e rischi di assenze eccellenti il percorso negoziale continua, mentre i movimenti sociali stanno convergendo verso l’appuntamento brasiliano.

 

L’ultima sessione di colloqui informali verso Rio+20 si è conclusa il 4 maggio scorso. Veti incrociati, dissensi diffusi ed il rischio di assenze importanti rischiano di ridimensionare il profilo di un vertice che la retorica istituzionale continua a presentare come un importante punto di svolta.

Maria Theresa Lauron è coordinatrice del People’s Movement on Climate Change (Filippine), e sta seguendo per conto di IBON International, ONG attiva sui temi della giustizia climatica e sociale con sedi a Quezon City nelle Filippine e a Bruxelles, i negoziati Onu in corso a New York verso il Summit di Rio+20.
Con lei abbiamo provato a fare il punto della situazione delle questioni in ballo verso Rio e di come i movimenti sociali e le reti della Società civile si stiano preparando al vertice del prossimo giugno.
 
A – I Formal-informal meetings sono tappe importanti nel processo Onu verso Rio+20, ma ricordano troppo da vicino i negoziati sul cambiamento climatico, dove molto tempo viene impiegato per limare poche frasi senza alcun impatto reale sul mondo reale. Qual è la tua opinione?
 
TL – Ci sono molte critiche sul percorso ONU, ed io condivido quelle che puntano il dito su un processo estremamente lento e faticoso, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo che hanno subito le pressioni molto aggressive dei Paesi industrializzati nel tentativo di cancellare o mettere in "parentesi quadra" quei diritti che erano già stati ottenuti e riconosciuti in altri trattati internazionali. Questa è per me la prima volta che assisto agli informal mettings del UNCSD e risulta quindi molto complicato riuscire a monitorare tutti i tavoli. Ma la sensazione è che, in effetti, molto tempo sia speso su proposte e commenti riguardo il "linguaggio" da usare nel documento finale. La società civile a New York ha tentato di organizzare incontri con le delegazioni, side event e seminari, diffondendo analisi e position papers con l’obiettivo di riportare la questione dei diritti umani nel testo negoziale, cercando di rafforzarlo anche perchè sappiamo che l’agenda sulla Green Economy potrebbe avere implicazioni disastrose, specialmente per le comunità povere del mondo.
 
A – L’ultima versione dello Zero draft, base della discussione dell’ultimo meeting di New York, ha raccolto molti emendamenti negli ultimi mesi ma nei fatti in poco più di una settimana di confronto è stato rivisto alla radice. Credi che sarà possibile arrivare ad un documento finale efficace e basato sul consenso?
 
TL – Solo il fatto che a fine maggio è stato programmato un altro incontro a New York significa che non c’è ancora consenso. Quasi certamente ci saranno più sessioni a porte chiuse, più o meno come le Green room che abbiamo visto nei negoziati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un processo per nulla trasparente e responsabile. Ci potremmo trovare di fronte ad una ripetizione del Copenhagen Accord (durante la COP15 sul cambiamento climatico, nel 2009 – NdR), con un accordo trovato all’ultimo minuto alla 15a Conferenza delle Parti Onu.
 
A – La retorica istituzionale indica Rio+20  come una possibile pietra miliare nella transizione ecologica, ma il rischio è quello di trovarci davanti all’ennesima opportunità persa per ribilanciare il processo di globalizzazione. Quali sono le aspettative delle reti della Società civile?
 
TL – La Società civile ed i movimenti hanno sviluppato un’analisi fortemente critica sull’agenda della Green economy, e stiamo lavorando duramente per rafforzare la questione dei diritti umani nel documento ufficiale. D’altra parte stiamo sviluppando una forte convergenza tra i movimenti contadini, i pescatori, i sindacati, le donne e gli altri settori per mobilitarci contro il cosiddetto "capitalismo verde". L’agenda della Green economy non può offrire e non offrirà soluzioni alla crisi complessa che il mondo sta affrontando. E se riuscirà ad ottenere qualcosa, sarà giusto "more business than usual" per l’1% che controlla l’economia mondiale.
 
A – I Governi sono concentrati nel presentare la Green economy come concetto chiave per risolvere la crisi. L’Organizzazione Mondiale del Commercio rilancia la liberalizzazione del mercato come strumento ineludibile per sostenere lo sviluppo. Tutto sembra ricordare la solita ricetta proposta dal neoliberismo: quante possibilità ci sono per cambiare in modo definitivo questo approccio?
 
TL – Rio+20 si svolge in un momento storico in cui il mondo sta affrontando la più grave crisi dalla Grande depressione degli anni ’30, con l’effetto combinato di una crisi economica, energetica, alimentare, climatica e sociale. I mercati hanno evidentemente fallito nella loro promessa di diffondere sviluppo e benessere. La crescita è stata insostenibile, e vediamo che questo periodo, caratterizzato da crescita e sviluppo tecnologico, è anche il peggiore per le comunità povere del mondo e per l’ambiente. E’ necessario spostare l’asse verso produzioni e consumi più sostenibili. Ma ancor più importante dobbiamo tenere presente la democratizzazione della proprietà e del controllo delle risorse naturali.
 
A – Le reti della Società civile hanno saputo costruire in questi anni esperienze locali di lotta e di economia ecologica e solidale. Ogni anno nascono nuovi progetti che rendono sempre più reale la transizione ecologica delle società, ma l’impressione è che il processo sia troppo lento rispetto ai cambiamenti negli ecosistemi. I movimenti sociali come possono rendere più veloce ed efficace la transizione ad una società più sostenibile?
 
TL – I cambiamenti nei modelli di produzione e di consumo devono oggi andare mano nella mano con il più grande obiettivo di democratizzare l’accesso ed il controllo delle risorse. Le decisioni su cosa, come e quanto produrre non possono essere limitate a una minoranza motivata solamente dall’appropriazione privata, ma deve essere inquadrata nel contesto della pianificazione sociale dei cui frutti possa beneficiare tutta la comunità.
 

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