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Economia

La banda del debito

Presentata ai cittadini come un’infrastruttura strategica, la fibra ottica rischia di rivelarsi un affare soltanto per gli operatori privati. Sullo sfondo la vicenda dello scorporo della (vecchia) rete in rame di Telecom, un intervento necessario per ridurre l’indebitamento della multinazionale —

Tratto da Altreconomia 144 — Dicembre 2012

Franco Bernabè, presidente di Telecom, torna a parlare del progetto di scorporo della rete che vede il coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti. Lo fa -spiega una nota di Radiocor- a magina di un incontro dei piccoli azionisti Telecom (Asati). Secondo Bernabè, il progetto è "complesso e difficile, nessun’altro lo ha esplorato a livello internazionale. È tanto piu’ difficile in un contesto di vuoto politico". Le condizioni del progetto, ha aggiunto, sono "certamente definite e precise. Non lo faremo a qualsiasi condizione". Bernabè ha sottolineato che l’operazione deve essere fatta in modo da aiutare Telecom "in modo sostanziale a ridurre l’indebitamento -come abbiamo spiegato su Altreconomia di dicembre 2012, nell’articolo che riproponiamo-. Un Governo lungimirante dovrebbe vedere il potenziale di operazioni di questo genere". 

 

Mi rigiro lo smartphone tra le mani: è uno degli 800 milioni venduti nel mondo nel 2012, un mercato quadruplicato negli ultimi tre anni.
Così lo appoggio sul dorso, e c’incollo un post-it. Sopra c’è scritto “Espediente!”, perché rende necessari e giustifica investimenti per (almeno) 6,5 miliardi di euro, atti a portare la fibra ottica in un centinaio di città italiane: i dati scambiati attraverso telefoni cellulari connessi in rete, il “traffico mobile”, sono destinati a crescere di oltre 21 volte tra oggi e il 2017.
Per questo diventa “imprescindibile” investire nella banda larga, un’esigenza che i quotidiani ripetono giorno dopo giorno come un mantra. Rileggo i titoli degli articoli che ho ritagliato negli ultimi mesi: “Senza banda larga Pil zavorrato”; “Senza banda larga Italia senza futuro”; “Bernabè: banda larga, il Paese deve crescere; Telecom disponibile a trattare con Metroweb”.
Ad avallare queste tesi, come spesso accade, ci pensa anche un rapporto. S’intitola “La Banda Larga in Italia: presupposti per lo sviluppo di un’infrastruttura strategica” ed è stato pubblicato nell’agosto del 2012 da Cassa depositi e prestiti: spiega che “la disponibilità di connessioni veloci e superveloci ha assunto un ruolo chiave come volano per la crescita economica e per la coesione sociale”, e invita a considerare naturale il passo successivo, ovvero il manifesto interesse della Cassa a finanziare gli interventi di due soggetti privati, Telecom e Metroweb, con i risparmi depositati dai cittadini italiani presso le Poste. “L’ammodernamento della rete di telecomunicazioni è un asset fondamentale per la crescita e la competitività. Ci chiediamo se possiamo contribuirvi. Ma non siamo in competizione con nessuno. Anzi, tra Cdp, Fondo strategico italiano, F2i, Metroweb e Telecom Italia, è da tempo aperto un dialogo sulla possibilità di farlo insieme” ha spiegato a metà luglio 2012 il presidente della Cassa, Franco Bassanini, in un’intervista a Il Sole 24 Ore.
Per mettere in fila ciò che sta accadendo, partiamo da nomi e numeri.  Due miliardi d’investimento li promette Telecom Italia, già monopolista pubblico e ancora oggi il principale operatore del settore delle telecomunicazioni in Italia. Una società quotata alla Borsa di Milano, che -secondo l’Agcm- controlla circa il 65,9% degli accessi alla rete fissa e il 52,4% per quanto riguarda le connessioni rapide; a settembre 2012 ha siglato una memorandum con Fastweb.
L’intervento dovrebbe sfruttare una tecnologia che si chiama FTTCab (Fiber to The Cabinet): la fibra ottica arriverebbe fino a un armadio ripartitore, per raggiungere le case sfruttando la preesistente rete in rame. Il vecchio “doppino” è ancora un asset strategico per l’ex monopolista pubblico, oggi controllato da Telco (i cui azionisti di riferimento sono Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali e gli spagnoli di
Telefonica).
È importante, cioè, creare le condizioni affinché Telecom possa valorizzare la rete in rame esistente, decidendo poi di scorporarla per creare una nuova società. Secondo alcune stime, potrebbe valere fino a 14 miliardi di euro. Soprattutto, questa nuova “società delle reti” potrebbe farsi carico di una parte consistente dell’indebitamento di Telecom, un fardello  vicino ai 30 miliardi di euro al 30 settembre 2011. Per il 71%, ha per oggetto le obbligazioni emesse dall’ex monopolista per finanziare le proprie attività e vendute per lo più a “investitori istituzionali” (banche, assicurazioni, fondi d’investimento).   

Se paragonato a Telecom, Metroweb è un “pesce piccolo”. Tuttavia, ha messo sul piatto un piano d’intervento da 4,5 miliardi di euro. Oggi l’operatore gestisce una rete in banda larga nell’area metropolitana di Milano, e nel 2011 è stata acquistata da F2i, il fondo d’investimento guidato da Vito Gamberale. Se uno risale la catena societaria, arriva a Cassa depositi e prestiti, cioè al ministero del Tesoro e alle fondazioni bancarie. Forte di questo background, Metroweb punta a coprire di fibra ottica con una prestazione di 100 Mbps 30 città italiane entro il 2015. Punta, cioè, a diventare una “Super Metroweb”, e per farlo è partita da Genova, dove ha acquistato da Iren, utility quotata in Borsa e fortemente indebitata, l’85% di Sasternet Spa, per 16 milioni di euro, mentre sta trattando con A2a (un’altra utility quotata in Borsa e fortemente indebitata) la cessione di Selene, che detiene la fibra di Brescia e Bergamo. Un’intervento “ottimale”, almeno per Iren e A2a, cui garantisce ossigeno. 
Il piano Metroweb, più ambizioso rispetto a quello proposto da Telecom, userebbe la tecnologia FTTH (Fiber To The Home), come spiega la dirigenza della società in audizione alla Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera dei deputati, nel marzo del 2012.

Il dibattito “meglio la fibra a casa o la fibra in strada” scalda gli animi, complici interviste agli amministratori delle due società sulle pagine economiche de Il Sole 24 Ore e del Corriere della Sera. Su una cosa i due concorrenti sono d’accordo: una “rete di nuova generazione” è un’infrastruttura dal potere taumaturgico, capace da sola di far ripartire l’economia italiana.
E di questo Telecom e Metroweb devono convincere l’opinione pubblica.
Nonostante i numeri dicano il contrario: l’ultimo Cisco Visual Networking Index evidenzia come tra il 2011 e il 2016 sia atteso un aumento 340% del “traffico”, che toccherà i 104.765 exabytes (un’unità di misura pari a 1.018 bytes) al mese; il peso del traffico business, quello legato a lavoro e imprese, nel 2011 pesa per il 16% del totale, ma varrà solo il 7% nel 2016. La rete è e sempre più sarà utilizzata come un mezzo d’intrattenimento.
Lo sanno bene anche Ettore Gotti Tedeschi (presidente di F2i), Vito Gamberale (ad del fondo) e  Alberto Trondoli (ad di Metroweb), che ai deputati della Commissione telecomunicazioni hanno spiegato: “I fattori che nei prossimi anni renderanno indispensabile un adeguato sviluppo delle reti di nuova generazione non sono da ricondurre al mondo business, ma agli applicativi per utenti consumer”.

Il team di Cassa depositi e prestiti nel rapporto sulla banda larga si arrampica invece sugli specchi. Parlando di uno studio sui Paesi dell’Ue, e relativo al periodo 2002-2007, “con riferimento all’Italia, l’analisi evidenzia come il contributo alla crescita del Pil degli investimenti in reti a Banda Larga sia di 0,15 punti percentuali, equivalenti a circa il 16% dell’incremento medio del periodo. L’Italia […] presenta un significativo potenziale di crescita e gli investimenti in Reti di Nuova Generazione potrebbero rappresentare un volano straordinario per il rilancio dello sviluppo del Paese”. Significa che meno dello 0,2% della crescita del Pil dipende dalla fibra.
Eppure il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, è convinto che “gli investimenti in reti a banda larga e ultralarga rappresentano, dunque, la linfa vitale per una crescita intelligente e basata su conoscenza, ricerca, ICT e innovazione”, come ripete ai deputati della Commissione telecomunicazioni.

Chi ha le idee chiare è Franco Bassanini, presidente di Cassa depositi e prestiti, che in un’intervista a Il Sole 24 Ore spiega, con dovizia: “Metroweb intende realizzare una infrastruttura di rete in fibra ottica fino alle case e agli uffici offerta a tutti gli operatori in condizioni di parità di accesso e di neutralità tra loro. Telecom Italia prevede invece il cablaggio in fibra ottica solo fino agli ‘armadi’, per proseguire (per ora) con la rete in rame usando la tecnologia Vectoring”. Bassanini, che è un giurista e non un esperto di telecomunicazioni, in questa partita indossa la maglia numero dieci del fantasista, libero di svariare a tutto campo: perché è presidente di Cdp ma anche di Metroweb.
Recita -cioè- da imprenditore e da finanziatore.

È tutto qui il futuro della fibra, nonostante il ministero dello Sviluppo economico difenda l’utilità sociale degli interventi: la fibra -dice Corrado Passera- servirebbe a ridurre il divario digitale, permetterebbe anche al “5% della popolazione [che] vive in aree ancora in digital divide” di accedere al magico mondo dell’internet veloce.
Ma il rischio, lasciando tutto in mano a Telecom e Metroweb, è di mettere fibra su fibra solo dove conviene agli operatori privati. “Se gli operatori emergenti andranno solo nelle città più grosse, andremmo a creare un nuovo ‘divario digitale’ estremamente drammatico” spiega ad Ae Gianluca Mazzini, direttore generale di Lepida, la società pubblica che ha progettato e realizzato una rete in fibra ottica per collegare le sedi della pubblica amministrazione emiliano-romagnola.
“Se guarda all’Emilia-Romagna: tutti gli operatori privati sono presenti a Reggio Emilia, Bologna, Forlì. Perché a Piacenza non c’è nessuno? E non stiamo guardando alla montagna”. Secondo Mazzini, c’è un problema di orizzonte: “L’esigenza di dotare il Paese di questa infrastruttura necessita di una visione strategica, la cui redditività si misura nell’arco di 20 anni. Oggi, però, chi investe ha bisogno di garantirsi un ‘ritorno’ nell’arco di tre anni”. È l’orizzonte del debito. —

Fibra intecciata
Telecom Italia è una multinazionale delle telecomunicazioni. Il principale azionista della società, con il 22,39% delle azioni, è Telco, a sua volta partecipato da Gruppo Generali (30,58%), Mediobanca (11,62%), Intesa Sanpaolo (11,62%) e dagli spagnoli di Telefónica S.A. (46,18%).
Altri azionisti rilevanti della società, che nei primi nove mesi del 2012 ha fatturato 22 miliardi di euro, sono con il 4,99% Findim Group (finanziaria lussembrughese della famiglia Fossati), con il 2,89% il fondo Blackrock, con il 2,06% il fondo Alliance Bernstein LP.
Metroweb -a differenza di Telecom- non gestisce servizi di telefonia ma opera come  fornitore di fibra spenta, e affitta la propria infrastruttura agli operatori del settore (per un fatturato di 56 milioni di euro nel 2011). Nell’area metropolitana di Milano gestisce la rete in fibra ottica più vasta d’Europa, oltre 7mila chilometri.
Il principale azionista di Metroweb è, con il 61,4%, F2i Reti TLC S.p.A., che è a sua volta partecipata da F2i (Cassa depositi e prestiti, banche, cassa previdenziali, etc.) e dal Fondo strategico italiano (Cassa depositi e prestiti).  Gli altri azionisti sono la utility lombarda A2a (controllata dai Comuni di Milano e Brescia, con il 25.7%), in procinto di vendere, e Fastweb spa (11.2%). Quest’ultima, controllata da Swisscom, è entrata nel capitale di Metroweb nell’autunno del 2011,  poi nel settembre del 2012 ha firmato un accordo con Telecom che prevede che le due aziende condividano “investimenti e costi nella costruzione delle infrastrutture”.

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