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L’albergo non è più lo stesso

Le strutture tradizionali soffrono la concorrenza dei portali online e dell’ospitalità in casa. L’Italia però conserva un patrimonio di un milione e centomila camere, e oltre 2,25 milioni di letti. Come sta cambiando la ricettività, tra "condohotel" e Airbnb (130mila gli alloggi disponibili nel nostro Paese)

Tratto da Altreconomia 172 — Giugno 2015

L’intonaco dell’hotel Granduca sta cedendo. A poche decine di metri dal passo dell’Abetone (PT), questa struttura è stata a lungo una delle più rinomate della famosa località sciistica dell’Appennino tosco-emiliano, ma da almeno un paio d’anni devono iniziare i lavori di ristrutturazione. L’hotel Granduca verrà trasformato in qualcos’altro: 9 appartamenti e 4 RTA (Residenze turistico-alberghiere). E anche se su internet campeggiano annunci che indicano l’inizio lavori per la primavera del 2013, a maggio 2015 non erano ancora partiti.
L’hotel venne costruito tra il 1967 e il 1973, negli anni del boom per lo sviluppo delle ricettività alberghiera nel nostro Paese. Oggi il turismo è cambiato, chi si sposta sceglie spesso sistemazioni alternative (in Italia ci sono più di 130mila alloggi disponibili sulla piattaforma di Airbnb, “host” nel gergo del portale, www.airbnb.it), e un “patrimonio” di quasi un milione e centomila camere (e oltre 2,25 milioni di letti), il maggiore d’Europa, può sembrare eccessivo. A fiaccare la domanda c’è anche la crisi, che anche nel 2015 continua a farsi sentire (secondo i dati di Federalberghi, le presenze nei mesi di marzo e aprile hanno registrato un calo dell’1,4% su base annua).
Tre le risposte possibili, la legge Sblocca-Italia del novembre 2014, ad esempio, ha individuato la norma (all’articolo 31) che promuove la realizzazione di “condohotel”.
Strutture che, oltre a fornire alloggio, servizi ed eventualmente vitto in camere destinate alla ricettività, sono composte da unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, che “possono occupare fino al quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari” come spiega il dispositivo. Secondo Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi, la norma attuerebbe “la riconversione di una parte del patrimonio”, e questo permetterebbe di non avere alberghi di 100 camere tutte uguali, ma 40 camere tutte diverse, e magari più grandi”. I decreti attuativi delle norma dipendono da passaggi in Conferenza Stato-Regioni, ma intanto la legge è stata impugnata dalla Provincia autonoma di Trento, che la ritiene incostituzionale, lesiva del proprio Statuto di autonomia, dato che un comma dell’articolo impone l’adeguamento dell’ordinamento provinciale in materia.
“Se c’è un pezzo di mercato che gradisce forme diverse di ricettività, è giusto che chi di mestiere fa l’imprenditore possa offrirle, senza morire di burocrazia” spiega Nucara, che difende la “posizione di leadership” del nostro Paese, e al giornalista che chiede “quali siano le priorità per il settore turistico” risponde ricordando l’importanza di “investire per riqualificare il patrimonio e mantenerlo”,  che “una delle componenti della qualità dipende dallammodernamento delle strutture”, e che è fondamentale continuare a lavorare “bene sul personale, per garantire un’ospitalità sorridente”. Le statistiche sul lavoro danno conto, per il momento, di numeri che si scontrano con gli ideali: il comparto ricettivo nel 2013 (ultimi dati Inps disponibili) ha registrato una media annua di oltre 222mila occupati, in calo del 4,3% rispetto all’anno precedente.

Per risalire la china, il governo avrebbe anche individuato (e trasformato in legge) -secondo Nucara- alcuni strumenti interessanti. Su tutti, all’interno del “decreto turismo” del 2014 (dopo la conversione è la l. 106/2014), la previsione di un credito d’imposta a favore di chi realizza investimenti fino a 200mila euro per la riqualificazione di strutture esistenti. Però, spiega Nucara, “questa norma stanzia 220 milioni di euro, per cinque anni, fino al 2019, e le mette a disposizione di 34mila aziende”, perché tante sono le strutture ricettive alberghiere in Italia. Per definire meglio i contorni della propria perplessità, Nucara paragona quei 220 milioni di euro ai 76 milioni che il Fondo strategico italiano (www.fondostrategico.it), partecipato all’80 per cento da Cassa depositi e prestiti e al 20 per cento da Banca d’Italia ha investito per acquisire il 23% del gruppo Rocco Forte Hotels, con sede a Londra e attivo -anche nel nostro Paese- nel settore degli alberghi di lusso. Tra i cinque stelle che fanno parte del suo catalogo c’è anche il Verdura Resort di Sciacca, in provincia di Agrigento, con il suo campo da golf costruito in riva al Mar Mediterraneo, dopo un provvidenziale intervento legislativo della Regione Sicilia, che aveva ovviato al sequestro dei cantieri.

“È questo che lo Stato deve fare, gestire alberghi?” si chiede Nucara. Il Fondo strategico spiega diversamente la propria scelta ed il proprio obiettivo: scrive -sul proprio bilancio di esercizio- di voler creare “un’azienda dimensionalmente rilevante che possa sostenere importanti investimenti nella gestione, commercializzazione e marketing dell’azienda, mantenendo separata la componente immobiliare”. Un campione nazionale, cioè, capace di competere su scale globale con giganti come Accor, una catena francese che da sola gestisce 5mila alberghi e 500mila camere.
Le dimensioni contano davvero? “L’albergo italiano è piccolo, ma non piccolissimo. È più grande di quello inglese, e solo poco più piccolo di quello francese” ricorda Nucara. In numeri, le sue frasi si traducono così: le strutture ricettive del nostro Paese hanno, in media, 32,4 camere, la media Ue è 31,2, in Francia gli alberghi hanno 36,5 stanze, mentre nel Regno Unito meno di 20.
Se deve indicare il problema dei problemi, il direttore della Federazione associata a Confindustria se la prende con i portali e le piattaforme di prenotazione di strutture alberghiere: “Chi gestisce le camere non sono più gli hotel. Chi vende on line è in grado di orientare i flussi verso quelle strutture che garantiscono a questi operatori i margini di intermediazione più alto”. Il portale più importante, Booking, -spiega Nucara- “vende in tutto il mondo prodotti alberghieri per 46 miliardi di euro, con una commissione a carico dell’albergatore tra il 18 e il 30%”. Il fatturato del settore ricettivo italiano, che comprende anche le residenza turistico-alberghiere, gli agriturismi e i b&b è di circa 20 miliardi di euro.  “Perché il Fondo strategico non lavora sull’inter-mediazione? Perché non creare un grande portale italiano?”. Oggi c’è (solo) l’Enit, l’Agenzia nazionale per il turismo (www.enit.it), con un budget annuale di circa 30 milioni di euro. Pochi, pensando che l’attività di intermediazione garantisce a soggetti come Booking incassi tra i 7 e gli 8 miliardi di euro all’anno. Federalberghi ci ha provato anche con l’Antitrust, che ha avviato un’istruttoria sul comportamento del postale: l’Autorità, però, non ha comminato sanzioni, accogliendo alcuni impegni di Booking a modificare le condizioni dei contratti. Resta, però, che ogni hotel che abbia firmato un contratto con la piattaforma on line deve garantire alla stessa il medesimo prezzo pubblicato sul proprio sito, e potranno offrire sconti solo a clienti off line.

Comunque, è difficile immaginare che il Fondo strategico italiano possa seguire il consiglio di Nucara. “Investiamo denari che sono di soggetti privati, il correntista postale, anche se raccolti da un collettore pubblico, cioè Cassa depositi e prestiti. Dobbiamo perciò garantire un ritorno, rendimenti ai soci” spiegano. Prima di investire nel gruppo Rocco Forte, aggiungono, hanno condotto interviste con 22 operatori, 14 italiani e 8 stranieri operanti in Italia. E Rocco Forte è stato scelto, perché ha concesso al Fondo strategico una serie di condizioni che, secondo la società, tutelerebbero l’investimento: “Abbiamo potere di veto sull’apertura e chiusura di alberghi”. Tra i punti di forza di Rocco Forte, oltre alla disponibiltà a “lasciarsi investire”, ci sarebbe anche la presenza di una rete di vendita estera molto forte. Perché la maggioranza dei turisti negli hotel a cinque stelle non possono -per ragioni contingenti, legati ai prezzi delle stanze- essere italiani.
A breve, in ogni caso, il Fondo dovrebbe annunciare un nuovo investimento, che riguarderà hotel e 3 e 4 stelle, più alla nostra portata. Nel frattempo, a crescere è soltanto Airbnb: dal 2008, oltre 1 milione di viaggiatori ha soggiornato in Italia utilizzando una delle abitazioni messe a disposizione dal portale. A livello “esemplare” la società indica il dato relativo all’offerta nella città di Milano, che in vista di Expo ha visto una esplosione degli alloggi disponibili, che sarebbero più di 7.600, “con una crescita anno su anno del 107%”. Il Comune di Milano -per primo in Italia- è arrivato a sottoscrivere un accordo con Airbnb, nell’ambito della strategia comunale per incentivare la sharing economy. Secondo Nucara di Federalberghi, però, accordi del genere  -salutati con un post ufficiale sul blog di Airbnb, http://publicpolicy.airbnb.com/good-news-milan/, dove il capoluogo lombardo viene definito “una città più aperta, accogliente e solidale, per chi ci vive e per chi la visita”- avrebbe l’effetto di legittimare “una forma di shadow economy”.
Secondo il direttore di Federalberghi, il governo dovrebbe intervenire: “Stesso mercato, stesse regole. Andrebbe istituita una cedolare secca, pari all’equivalente dell’IVA (che per il settore vale il 22 per cento, ndr). In questo modo Airbnb diventa una sorta di ‘dogana’, il Paese incamera un’entrata fiscale e sarebbe far scattare un contatore, così che coloro che incassano 5mila euro siano costretti ad aprire una Partita IVA”, a meno di non voler smettere di “ospitare”.

È certo -però- che gli associati di Federalberghi potrebbero far di più per “evitare” il grande successo dei concorrenti. Secondo l’Osservatorio digitale di Prontohotel.it, a Milano le tariffe medie in vista dell’Expo sono raddoppiate, passando da 155 a 310 euro per una doppia. Si spiega così, forse, la flebile crescita del tasso di occupazione media delle stanza, passato dal 54 al 61%. Nonostante l’Esposizione universale.
 
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